Il sondaggio di Ruvolibera induce a porsela perché non è indifferente votare per questo o per quello, per il centrosinistra o per il centrodestra o per nessuna delle due coalizioni, scelta anche questa rispettabilissima nonostante le critiche a cui si espone l’astensionista, tacciato di qualunquismo, di egoismo o di superbia.
Eppure l’astensione, come la scheda bianca, dovrebbe rappresentare un punto di domanda: perché ci si astiene? Perché una parte del corpo elettorale ritiene di non dover votare o ripone nell’urna una scheda bianca?
Nel nostro paese una indagine in tal senso non è stata mai condotta. Sarebbe interessante comprenderne le motivazioni, fra le quali non può non esserci una valutazione circa la qualità della classe politica locale, evidentemente negativa, ed un giudizio sui servizi, sull’andamento della macchina amministrativa, evidentemente percepito come insoddisfacente.
Una quota di astensionismo è fisiologica, un’altra quota non lo è, ed è su questa percentuale che occorrerebbe attardarsi un po’ di più. Recuperare al confronto democratico una fetta di uomini e donne costituirebbe la prova provata che passi avanti sono stati compiuti sia sul piano politico che su quello amministrativo.
Tuttavia, torniamo alla domanda iniziale e chiediamoci quali sono le ‘virtù sindacali’, cioè quali sono le qualità che un sindaco dovrebbe incarnare.
È una domanda teorica, non retorica, i cui risvolti sono eminentemente pratici, concreti. In altre parole, è un modo di essere che implica integrità, che cioè non vi sia scissione o soluzione di continuità fra teoria e pratica, fra quel che di dice e quanto si fa.
Anche questo, in verità, è questione antica e quindi moderna, poiché l’io egoico – che è quello che prevale – di norma è oscillante, contraddittorio, bulimico, bellicoso, mutevole come la luna che, non a caso, la Vergine Maria, esempio dell’io in relazione, ha sotto i suoi piedi, domina.
Che un sindaco debba essere onesto, non ci piove. Ma non si tratta solo di considerare il suo grado di onestà rispetto ad un illecito arricchimento, il suo atteggiamento rispetto alle sirene del denaro, ai pifferai del benessere facile.
Si tratta anche di valutare se è onesto nei rapporti interpersonali, mantiene le promesse, si è approfittato di qualcuno, se è mentitore abituale. Se, in altre parole, è ladro di speranze oltre che di denaro, perché si può rubare la speranza, si possono sottrarre subdolamente pepite di futuro.
A Ruvo ci conosciamo tutti abbastanza bene. Tutti sanno di tutti, quindi dovrebbe essere piuttosto agevole acclarare il grado di onestà di una persona, memori – mutatis mutandis – del passo evangelico secondo cui chi è fedele nel poco, è fedele nel molto.
La bontà. Su questa virtù della bontà si sta montando, artatamente, un piccolo caso locale con particolare riferimento al candidato del centrosinistra, Vito Ottombrini, al quale si rimprovera di essere troppo buono. I suoi detrattori asseriscono: “Sai, è una brava persona, nulla da dire, però è troppo buono. Per amministrare c’è bisogno di uno che abbia le palle”.
A parte l’accenno alle sfere, che trovo improprio o parziale (forse ci vuole anche un po’ di “culo”, vero?), qui si situa l’equivoco della bontà come ingenuità che, per quanto mi concerne personalmente, faccio risalire al signore di tutte le poltrone e di tutte le elezioni, il quale, molti anni addietro, mi disse: “Tu sei come tuo padre; sei così buono da essere fesso”. Bontà sua: meglio fessi che malvagi, su questo non ci sono dubbi.
Quindi, il sillogismo è: se sono buono, sono fesso, e se sono fesso non sono in grado di governare. Conclusione sconclusionata; machiavellismo spicciolo, da bettola d’angiporto; riflessione da tirziatori di carte avvolti in nuvole di fumo, da portavoce di chi propende per l’altro schieramento (e ce ne sono pure nella sinistra, si badi bene, tuttora vittima della sindrome di Tafazzi).
Essere buoni non è un male, è un vantaggio, purché alla bontà si affianchino la prudenza, la competenza e la fermezza, che non è una dote del malvagio ma una modalità di far applicare decisioni e scelte concordate, sulla scorta delle leggi, dei regolamenti, delle funzioni e delle responsabilità.
Si può essere buoni e fermi, ma non buoni e malvagi, perché non si possono servire due padroni. D’altra canto, e a margine, farei osservare ai teorici della bontà come dabbenaggine che, indicando in Ottombrini un uomo buono, di converso etichettano Catalano come uomo non buono. Che io sappia, è anch’egli un uomo buono. Cautela, quindi, nei giudizi, a meno che non si voglia subdolamente offrire una sponda ad un Giano bifronte della politica locale.
La competenza, la preparazione, la conoscenza delle problematiche amministrative. Parliamone qui, nell’arena virtuale di Ruvolibera, molto meno virtuale e molto più libera di quelle reali, dove ci si va perché ci si deve andare.
È fuori di dubbio che occorre essere competenti e preparati. Mente e cuore devono accordarsi, procedere di concerto. Ma la preparazione non deve essere esclusivo appannaggio del sindaco. Un buon sindaco è chi si avvale di buoni collaboratori. Le fortune di un uomo politico saggio le fanno i suoi collaboratori.
Un sindaco è soltanto un uomo, spesso un uomo solo, roso dai dubbi, preso nella morsa delle tante questioni sociali, che deve assumere anche decisioni impopolari. È molto meglio condividere i problemi che ritenersi depositari della verità e del giusto mezzo, specie in un contesto dinamico come l’attuale.
Chi ritiene di sapere tutto, in realtà non sa nulla, in particolare non sa che i fatti danno ragione nella misura in cui ho dialogato, mi sono confrontato, ho raggiunto una posizione la più condivisa possibile, secondo i tre livelli del confronto di cui mi parlava Renato Dell’Andro: confronto con se stessi; confronto all’interno del partito (e della coalizione); confronto con gli altri partiti e la società. Se dovesse mancare uno di questi tre momenti, non ci sarebbero fatti ma improvvisazioni.
Ciò presuppone che i partiti facciano un passo indietro, che cioè il sindaco sia lasciato libero di scegliersi gli assessori ed i collaboratori più stretti, senza subire pressioni indebite.
I partiti, in tal senso, dovrebbero solo suggerire, mai imporre, fermo restando che è capacità del sindaco ricorrere allo strumento della mediazione e del convincimento tutte le volte che sorgano contrasti sulle persone da nominare e sugli incarichi da affidare.
Un sindaco di destra o di sinistra? Beh, a questa domanda mi si permetta di non rispondere. Ho la mia idea, ovviamente, che è bene resti con me, per il momento. Le lettrici ed i lettori di questa mia riflessione si facciano una loro opinione sulla scorta delle indicazioni che, con umiltà e senza pretesa alcuna, ho sottoposto alle loro coscienze di cittadini e di donne ed uomini liberi. Sarebbe interessante aprire un dibattito, sarei lieto di confrontarmi con chiunque voglia interloquire.
Salvatore Bernocco