La Città e il Non-Luogo



La Città e il Non-Luogo

I beni comuni fra insipienza e ingordigia
La Progettazione e la Partecipazione

Da Nicola Amenduni, appassionato cultore di urbanistica ed ex assessore, riceviamo un interessante saggio e un ottimo spunto di riflessione sul presente, sul passato e sul futuro urbanistico della città (e non solo). Ne pubblichiamo qui un ampio stralcio. Chi vuole potrà scaricarne la versione integrale alla fine dell’articolo.


rendering esempio progetto ciclopedonale extramurale nord


Il luogoè definito da tre caratteristiche principali: è identitario:  tale da contrassegnare l’identità di chi ci abita; è relazionale: individua i rapporti reciproci tra i soggetti in funzione di una loro comune appartenenza; è storico: ricorda all’individuo le proprie radici. Quindi uno spazio che non può definirsi come identitario, relazionale e storico viene definito “non-luogo”; “…sono dei non-luoghi, nella misura in cui la loro vocazione principale non è territoriale, non è di creare identità individuali, relazioni simboliche e patrimoni comuni, ma piuttosto di facilitare la circolazione (e quindi il consumo) in un mondo di dimensioni planetarie”…

I non-luoghi sono prodotti della società della surmodernitè, incapace di integrare in sé i luoghi storici confinandoli e banalizzandoli in posizioni limitate e circoscritte alla stregua di “curiosità” o di “oggetti interessanti”; i non-luoghi, quindi, come luoghi non antropologici…
se i luoghi antropologici creano un sociale organico, i non-luoghi creano una contrattualità solitaria” ; quindi, cifra del luogo è lindividuo in relazione, mentre quella del non-luogo è il solitario.

[…]

Non che questo sia fenomeno della sola nostra città, essendo abbastanza diffuso nella nostra epoca (ahinoi!); ma ora occupiamoci e preoccupiamoci del nostro specifico, non essendo saggio consolarsi col mal comune.
Facciamo un giro a piedi lungo l’Extramurale Nord, dall’incrocio della  via per Terlizzi a quello della via per Corato.
Sarebbe anche il caso di iniziare dal comparto “M” (compreso il Contratto di Quartiere I che attualmente sembra ancora inattuato nelle sue intenzionalità originarie, e compreso il Programma di Recupero Urbano- comparti “I”-“L” – ancora irrealizzato dopo più di dieci anni, soprattutto a causa  dell’egoismo proprietario dei possessori dei suoli, particolarmente assecondato dall’ordinamento giuridico recente – compresi anche i condoni edilizi – con grave svalutazione del finanziamento originario) fino al comparto “K”; senza fretta , e dotati di buona disposizione alla sensibilità, in tutti i sensi.
Chiunque sia dotato ancora di tali qualità non può non provare una sensazione mista di stupore per gli scenari di orizzonte e di spazio largo e profondo (fino al mare ed al promontorio del Gargano), o almeno per la visuale che residua, ed al contempo di disagio, sia per le trasformazioni urbanistiche in corso lungo l’extramurale,   sia per le caratteristiche della configurazione  dell’extramurale stesso, nemico del nostro corpo  e molto amico delle quattro ruote, appunto il “non-luogo” […]

Cosa dire anche dei disturbanti recenti impianti pubblicitari che danno il benvenuto a chi arriva nella nostra città, e che rischiano di omologare e rendere seriale la stessa, rispetto a tante altre città?
Si dice che la pubblicità è l’anima del commercio, ma è un guaio quando essa soppianta l’anima delle città.
Un decennio fa l’Amministrazione Comunale aveva programmato di ristrutturare e caratterizzare gli ingressi della città per fornire meglio, simbolicamente, la sua cifra identitaria locale ed il suo Genius-Loci, ma evidentemente altri interessi sono prevalsi cosi come avviene in tanti altri luoghi del mondo; sarà il caso di provvedere ad una rivisitazione degli impianti esistenti, a cominciare da quelli che eventualmente non sono a norma, e di evitare per il futuro l’invadenza di altri nuovi, o di rendere, quelli legittimamente esistenti più armoniosi con il contesto, posto che sia possibile.

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Senz’altro sono forse pure apprezzabili alcune soluzioni architettoniche adottate nei nuovi comparti edificatorii, almeno in confronto alla diffusa bruttezza delle architetture dei decenni trascorsi, nella nostra città come in tante altre; semmai il problema consiste, prima di tutto, nelle in-significanti soluzioni insediative plani-volumetriche, che spesso impongono gli stessi committenti privati, di fronte  a cui la pubblica amministrazione appare impotente o, peggio ancora, pigra e/o complice.


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Si sa che nella nostra epoca la qualità è sacrificata sull’altare della corsa sviluppista di questo assurdo modello economico, ormai assurto a sacralità incontestabile; in cui impera la logica di una illusoria deregulation liberista, con l’alibi della semplificazione amministrativa, che dovrebbe rispondere alle ricorrenti crisi economiche ed occupazionali: ne è esempio indecente  la più volte paventata intenzione governativa di modificare l’articolo 41 della costituzione, che subordina la libera attività economica alla utilità sociale della stessa.


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E’ difficile, nel nostro tempo di veloci processi trasformativi valutare  la dimensione della percezione e della bellezza, tema sempre arduo, scivoloso e difficilmente oggettivabile; resta il fatto che abbiamo smarrito il senso della bellezza.

Tanto più nella nostra epoca della velocità  e della serialità anonima , a causa, appunto, di ciò che potremmo definire de-culturazione dello specifico-identitario, nella frammentazione delle comunità, divorate dal gorgo di ciò che chiamiamo “globalizzazione”; non ci riferiamo, certo, all’ identitario gretto e chiuso, poiché non può darsi vera identità senza relazione, come si sa.

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Si sa che l’opportunistico accomodamento populista e demagogico è il viatico di ogni totalitarismo, culturale prima che di potere materiale, con annesse società chiuse ed incattivite.

La nostra città non è esente da tale rischio a nostro parere: le ultime elezioni amministrative, con  programmi che, spesso,  si rincorrono nel somigliarsi, non tanto nelle premesse generali quanto nelle scelte operative concrete, stando ai temi qui trattati, unitamente all’atomizzazione corporativa delle candidature, stanno a dimostrarlo.

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Ø  Anno 2000 – E’ approvato il IV P.P.A. (Programma Pluriennale di Attuazione) periodo 2000-2005, per la cura tecnico-scientifica del Dipartimento di Architettura e Urbanistica del Politecnico di Bari.
Con  tale Programma l’Amministrazione Comunale intende dare rilevanza  al tema della qualità della espansione urbana, e quindi anche al problema del nuovo assetto e del nuovo scenario che avrebbe dovuto assumere l’extramurale Nord, per cui si riportano significativi  stralci, che rappresentano bene il problema:

< Tra le città di Puglia, Ruvo conserva un carattere particolare, che rende riconoscibili e memorabili le sue immagini: chiarezza ed evidenza non riguardano solo i suoi edifici (la Cattedrale, Palazzo Jatta, San Domenico etc.), ma l’intero complesso di fabbricati e spazi urbani, di conformazione orografica e di manufatti edilizi rivela le tracce di un pensiero creativo unitario e globale….

Il legame tra i diversi elementi della forma urbana (le reti viarie, i tessuti residenziali, le parti speciali costituite da piazze, verde urbano, monumenti etc.) diventa meno leggibile nelle zone periferiche, formate da insediamenti residenziali e produttivi più recenti, ove la casualità sembra aver preso il posto della regolarità e della gerarchia nella  disposizione di edifici e di spazi esterni………


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All’ordine basato, nella città antica, sulla continuità e sulla omogeneità, si sostituisce un ordine che regola elementi distinti e discontinui. E’ la geometria che stende un telaio uniforme e diffuso di relazioni, facendo si che ogni fabbricato sia determinato compiutamente da allineamenti, altezze, distanze precise, ed in tal modo possa aggiungersi ad altri fabbricati nella definizione dei grandi spazi urbani…..

Se nel centro antico la contiguità delle unità edilizie e la continuità delle facciate danno luogo a spazi aperti che presentano l’andamento fluente e ininterrotto di un corso di acqua con sinuosità, strettoie, improvvisi slarghi, nella zona ottocentesca l’edificato si suddivide in isolati, quindi in porzioni discrete di costruito, che trovano nella geometria delle griglie ortogonali il principio di ordine e di necessità della loro disposizione nello spazio…

Assi e griglie regolano la forma urbana fino a tutta la prima metà del XX secolo.
E’ nel corso della seconda metà di questo che prima si inizia e poi si pianifica col PRG l’espansione, principalmente a nord e ad est dell’abitato. La città si dilata e si amplia decisamente configurando forme, disposizioni e tracciati del tutto nuovi e spesso anche in conflitto col disegno precedente.

Il primo PRG introduce un “extranurale- nord”, sul tracciato della tramvia Bari-Barletta, che disegna il confine della città e consente il collegamento diretto di tratti extraurbani per Corato e Terlizzi. Questa felice soluzione, che tendeva a continuare e sottolineare la città come entità nettamente distinta dalla città, viene tuttavia abbandonata con il successivo strumento urbanistico (Variante Generale).

Cosi il carattere di città definita e conclusa viene in parte cancellato con la Variante Generale: i comparti di espansione vengono estesi oltre l’extramurale e pongono le premesse per una ulteriore dilatazione, mentre le aree a standard si attestano lungo alcune radiali, rendendo difficile la loro interconnessione ed accrescendo la loro condizione di isolamento…

L’immagine di squallore e di solitudine delle strade di periferie, deve spingere a ricercare una diversa qualità urbana per questa strada….

Le nuove zone di espansione sono per la città attuale quello che le aree esterne ai corsi furono per il centro antico. In quelle circostanze gli spazi perimetrali, sapientemente progettati e realizzati, giocarono un ruolo di mediazione tale da rendere la saldatura fra città medioevale-rinascimentale e città ottocentesca una entità autonoma del tutto originale, carica di funzioni e significati, luogo dei grandi vuoti urbani, dei palazzi e delle chiese, del potere civile e dell’autorità religiosa. Quella sutura costituì la cifra della città…

Attualmente è necessario compiere un atto di progettazione altrettanto coraggioso facendo si che l’extramurale-nord diventi il nuovo grande viale alberato su cui si susseguano le opportunità dei luoghi centrali della città con gli edifici pubblici, il verde urbano, le piazze. La continuità, la pedonalità, la completa ed agevole raggiungibilità, la varietà, sono le caratteristiche da perseguire, cosi come nel passato esse furono ottenute per le piazze ed i corsi centrali. 

[…]

E’ superfluo dire che tali  previdenti considerazioni programmatiche approvate nel 2000 sono state, per colpa o per pigrizia poco importa, disattese dalle varie Amministrazioni in questo decennio trascorso, tranne che per qualche insufficiente elemento. Questo, anche per la sostanziale indisponibilità della committenza privata: è noto quanto sofferto sia stato l’iter amministrativo di approvazione dei vari Piani di Comparto.

[…]

Tuttavia, come era da attendersi, i privati lottizzanti hanno goduto solo delle maggiori volumetrie possibili, in conseguenza dell’utilizzo del solo “Indice di Fabbricazione Territoriale” nei nuovi Comparti Edificatori, senza cedere ulteriori spazi al pubblico uso; né pare che le Amministrazioni Comunali trascorse lo abbiano preteso adeguatamente.

Il risultato è che per tutta la rilevante lunghezza dell’extramurale-nord,   non abbiamo sezioni di marciapiede tali da permettere un decoroso attrezzamento di una corsia ampia riservata per la pedonalità e ciclabilità; adeguatamente protetta dalla strada, attrezzata con alberature e filari di siepi, in modo da permettere una gradevole passeggiata,  con affaccio sul panorama verso la costa; tanto da realizzare una continua e lineare fascia di verde attrezzato che si connetta, senza soluzione di continuità, alle varie aree a standards previste lungo lo stesso extramurale.

Allo scopo, potrebbe ridursi, ad esempio, considerato lo stato delle cose, l’attuale carreggiata da quattro a due corsie, comunque abbastanza agevoli, tanto da rendere il traffico motorizzato non più padrone incontrastato dell’extramurale, prevaricante la mobilità ciclo-pedonale, insomma un traffico ospite della strada di cui le persone, in carne e ossa, dovranno impadronirsi.

Si è ancora in tempo per salvare il salvabile, basta volerlo; il fatto è ancora più grave se si considera che i corsi ottocenteschi hanno marciapiedi di larghezza media di circa 10 metri per ogni lato, cosi progettati quando, pure, non esistevano le attuali esigenze di difendersi dall’invadenza del traffico veicolare, dimostrando sensibilità estetica e funzionale lungimirante, a noi sconosciuta, purtroppo.

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2010:Si approva Il Documento Programmatico Preliminare per il PUG (Piano Urbanistico Generale); in esso l’area che si estende dal confine con Corato, ad ovest, fino alla provinciale per Molfetta, in quanto scarpata terrazzata che fronteggia la costa fino al promontorio del Gargano, viene individuata quale “area panoramica identitaria”, e quindi “bene paesaggistico strutturante” il territorio, il cui pregio dovrà essere salvaguardato.

Meritevole previsione programmatica, se non fosse, purtroppo, che essa rischia di essere già inficiata, almeno per la parte relativa all’extramurale nord; considerato che mentre si discute il PUG, si continua a comprometterne le potenzialità paesaggistiche.

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Cosi come, improvvidamente, è successo nel caso della Pineta Comunale (rara terrazza panoramica che poche città posseggono), quando negli anni passati ci è stata man mano  sottratta la possibilità di godere della continuità della linea di orizzonte verso la costa (Dal Gargano fino a Bari) : un’altra “Punta Perotti” a Ruvo, forse è il caso di dire.
 
Vi è anche da rilevare che  nel PRG vigente si mette in evidenza la estrema carenza di aree a standard attrezzate a verde, in cui si possa semplicemente avere, anche in città, il contatto con l’erba e con gli alberi nella loro evoluzione ciclica stagionale; senza dover rincorrere perversi modelli di fruizione del tempo libero e ludico, per cui si è costretti ad praticare una mobilità motorizzata per raggiungere la campagna o, peggio ancora, a costruirsi la propria “casina in campagna”, magari ben recintata e chiusa ad ogni relazione.

Pertanto, nel PRG viene sancita tale esigenza prioritaria, anche nel rispetto dell’ordinamento vigente.

Purtroppo, è evidente la tendenza a prediligere opere edilizie e/o a cementificare le residue aree a standards di quartiere, con maggiori costi sia nella costruzione che nella gestione delle predilette opere edilizie, al contrario di quanto avviene per le aree verdi.

[…]

 In ambedue i casi, non  appare superfluo sancire con chiarezza, sia nel PRG vigente, che nel PUG futuro, la perpetua funzione di standards di quartiere delle relative aree di sedime delle strutture a farsi, richiamando anche il relativo vincolo, se non già fatto,  negli atti di approvazione dei progetti esecutivi e nei pubblici registri immobiliari.

Fra un secolo, forse, si potranno perdere le tracce dell’originaria fattispecie di tali aree, per cui le pretese dei terzi potrebbero (si spera di no) porre difficoltà per la perennità della originaria e specifica funzione pubblica delle stesse (il caso del teatro Petruzzelli di Bari dovrebbe aver insegnato qualcosa, fatte le dovute differenze, naturalmente).

Insomma, le aree a standards di quartiere, quand’anche non ancora attrezzate, sono da considerare alla stessa stregua, giuridica e fattuale, delle attuali preziose piazze centrali, e, pertanto, “beni comuni indisponibili”, informati al principio della gratuità, perennità e universalità della loro fruizione pubblica.

Forse, se si continua cosi, i nuovi quartieri non avranno mai similari piazze di pregio architettonico e sociale, quali “luoghi simbolici ed identitari” per le comunità.

[…]

E’ inutile spiegare che i giardini pubblici, le scuole primarie, i parcheggi e quant’altro, sono necessarie vicino alle residenze del quartiere e non in parti urbane lontane.

Se poi a ciò si aggiungesse la scriteriata ed abusata prassi della monetizzazione degli stessi standard, affermatasi di recente, anche nei casi meno giustificati, senza che le risorse introitate abbiano vincolo di destinazione alla acquisizione effettiva delle aree a standard, sostitutive di quelle monetizzate, si potrebbe dedurre che non stiamo contribuendo alla qualità della città attuale come di quella futura.

Il risultato tangibile è quello di spostare sempre il problema un po’ più in là nel tempo, e più in là dello spazio urbano già esistente, perché nessuno ha la lungimiranza o il coraggio di affrontarlo.

[…]

Occorre anche dire che, in questa travagliata nazione, la rendita fondiaria ha sempre dettato legge, tranne che per pochi coraggiosi tentativi legislativi degli anni ’60 e ’70,  per cui il problema dell’equo regime dei suoli edificabili non è stato mai risolto.
Tanto, come si sa, ha messo  in grave difficoltà quegli Enti Territoriali che avevano osato fare politiche urbanistiche virtuose e perequative (il nostro caso delle esose indennità di  esproprio è indicativo); di quelli collusi con la rendita fondiaria  è meglio non parlare.

Si sa che in questo vuoto legislativo, dal secondo dopoguerra, spesso si son favorite le varie consorterie del malaffare, per cui sono stati espropriati i soggetti senza “protezione”, perché non contigui alle varie consorterie politiche, per reperire le aree a servizio dei suoli edificabili delle predette consorterie, in una sorta di lotteria fra  depredati ed arricchiti; per non parlare poi dei nullatenenti che una casa potevano solo sognarla, salvo ricevere in assegnazione dalla pubblica amministrazione case popolari , spesso senza qualità e  in quartieri degradati e marginali.

Ora, vogliamo sperare che il regime della perequazione urbanistica,fortemente spinta dalla Regione, risolva qualche problema, ma non bisogna farsi facili illusioni, finchè non interverrà anche una legge quadro statale chiarificatrice sul tema, mai approvata in questi decenni di dominio sempre più crescente del diritto proprietario .

[…]

Anche per questo, prima che i processi siano irreversibili, occorre intervenire con sollecitudine, a nostro avviso.

Insomma, per concludere  questa  riflessione, forse lunga ma non esaustiva, sarà il caso di affidarsi al monito dell’imperatore Adriano, amante del giusto e del bello:



“Costruire significa collaborare con la
terra, imprimere il segno dell’uomo
su un paesaggio che ne resterà modificato
per sempre; contribuire inoltre  a quella
lenta trasformazione che è la vita stessa della città…….
Ho ricostruito molto:
e ricostruire significa collaborare con il
tempo, nel suo aspetto di “passato”, e
coglierne lo spirito e modificarlo,
protenderlo, quasi, verso un più lungo avvenire;
significa scoprire sotto le pietre
il segreto delle sorgenti”
“Costruire significa collaborare con la
terra, imprimere il segno dell’u

Marguerite Yourcenar,  “Memorie di Adriano”


NICOLA  AMENDUNI