Nicola Gratteri, Lia Caldarola, Antonio Nicaso Foto Salvatore Magrone (Diandco.it) per RuvoLibera |
Nel piccolo ma appassionato scenario del Teatro Comunale, in un pomeriggio piuttosto informale, Lia Caldarola spicca nella sua tiratissima mise spezzato biancoblu, i capelli ostentatamente biancogrigi, da donna-che-non-ha-niente-da-nascondere.
Stasera, è la padrona di casa. Moderatrice (chi l’avrebbe mai detto? 🙂 del dibattito e suggeritrice di libri da leggere.
Il teatro è pieno, questa volta senza l’ausilio delle classi scolastiche esterne. Un sospiro di sollievo. D’altra parte, si viene a incontrare un eroe dell’antimafia. Non è poco.
I ruoli, nel nostro immaginario, sono chiari. Nicola Gratteri è l’eroe. Antonio Nicaso la spalla. Lia l’interfaccia col pubblico, di cui spesso conosce nome e cognome.
Ma la realtà, come sempre, è un po’ diversa. Perché Nicaso si dimostra una bocca da fuoco non inferiore a Gratteri. I due hanno una profonda sintonia e pare quasi giochino a lanciarsi palle infuocate come consumati giocolieri, poco al di là della saggia chioma della moderatrice. Mafia che fa schifo, partenariato criminale, malapianta – sono libri e concetti che si rimpallano tra i due per più di due ore, con gli uditori incollati alle sedie, le domande che fioccano.
Dall’alto dei cieli, l’invisibile Sebastiano Cascione sottolinea questo rimpallo col suo sapiente gioco di luci.
Le vedove bianche
Tutto comincia così. Magari con un Suv, l’auto appariscente, la prospettiva di bella vita. Lui ti invita a fare un giro e magari dopo qualche giorno ti chiede di sposarlo.
Sono le donne, sembra suggerire Gratteri, la spina dorsale della ‘ndrangheta. Ma c’è qualcosa di cui non lo siano?
Così non bisogna cadere in certe tentazioni… State attente – interloquisce. Perché non è mai una scelta conveniente.
Magari lui è pure un bel ragazzo. Accetti quel passaggio. Magari accetti anche la proposta di matrimonio. Per un po’ va alla grande. Poi magari lo arrestano. 10, 12 o più anni.
A quel punto la ragazza non esiste più per la società. È una vedova bianca. Non può avere altre relazioni, né può divorziare (“in pochissime ci sono riuscite”). Vive in casa, sotto stretta sorveglianza. Se ha figli vive nel terrore che eventuali sue “mancanze” possano ricadere su di loro.
Periodicamente il capo cosca viene a trovarla e le porta il denaro per andare avanti. E magari – aggiunge il procuratore – ne approfitta sessualmente.
Perché questa è la logica del clan. Perché è la vita che hanno scelto. Chi non trova la forza di ribellarsi si suicida. O resiste per i figli. Ai quali non potrà dare altra cultura se non quella.
Spesso le donne sostituiscono i mariti in galera alla guida delle cosche. Perché ne hanno “sposato” anche i “valori”. E allora diventano anche più efficienti, spesso più spietate.
In ogni caso le vere vittime, come sempre, sono i bambini. Chi nasce in una famiglia ‘ndranghetista – chiude – non ha scampo. Ha il destino segnato.
Se c’è un momento per rabbrividire, è questo. Quando muore la speranza.
La mafia orizzontale
I mafiosi sposano chi vogliono. Gli ‘ndranghetisti si sposano tra loro: “nel ‘900 due famiglie si sono sposate fra loro quattro volte, ogni 25 anni si sposano fra loro per rafforzare questo vincolo“.
I mafiosi sposano chi vogliono. Gli ‘ndranghetisti si sposano tra loro: “nel ‘900 due famiglie si sono sposate fra loro quattro volte, ogni 25 anni si sposano fra loro per rafforzare questo vincolo“.
La voce quieta e un po’ monocorde, l’inconfondibile accento calabrese, Gratteri esordisce con bombe come queste. In una frazione di secondo ognuno pensa a incroci più o meno incestuosi, a un Dna non sufficientemente rinforzato dall’interscambio. Sugli schermi mentali di tutti sembra apparire l’immagine del delinquente deforme anche nell’aspetto, oltre che nelle azioni.
Ma non bisogna lasciarsi ingannare. Gli ‘ndranghetisti sono ovunque, a tutti i livelli sociali e il loro legame con la politica «esiste ed è molto molto stretto. Anzi, spesso la ‘ndrangheta è impegnata in prima persona. I figli dei capimafia sono cresciuti, sono andati a scuola, hanno studiato e oggi sono medici, avvocati, professionisti. Stanno nella Pubblica Amministrazione, negli ospedali, nei Comuni, nelle Province e nelle Regioni. Sono la politica».
È il partenariato criminale tra mafia e politica, di cui parla Nicaso. La joint venture della malavita e del malgoverno.
È il partenariato criminale tra mafia e politica, di cui parla Nicaso. La joint venture della malavita e del malgoverno.
L’unica differenza, aggiunge, è che ieri era lo ‘ndranghetista a contattare il politico per proporre lo scambio voati/favori. Oggi sono piuttosto i politici a fare la fila dal mafioso.
Una struttura orizzontale, a compartimenti quasi-stagni, in cui ogni paese è governato da un locale, cioè appunto uno di quei grumi di due-tre famiglie che si sposano tra loro.
“Il locale si comporta come un grande investitore con tantissimi soldi e la necessità di diversificare gli investimenti. All’interno di un locale ci sono ingegneri, medici, avvocati, contadini, muratori, imprenditori, magistrati. Devono mangiarci tutti. Ci sarà quindi il settore dell’imprenditoria, dove quattro o cinque imprese devono vivere, lavorare, vincere appalti. Poi c’è il grande affare del’usura. Fino a 20 anni fa, era considerata disonorevole, oggi la ‘ndrangheta ha il controllo esclusivo dell’usura perché è il mezzo più rozzo per riciclare denaro.”
Poi ci sono i “locali” più potenti, quelli che decidono i grandi affari. Non una struttura solamente orizzontale, quindi. Piuttosto una piramide dove ogni mattone ha la sua autonomia. Questo, e i legami di sangue, la distinguono dalla più famosa ma meno potente mafia.
44 miliardi annui di fatturato, pari al Pil dell’Estonia e della Slovenia messi insieme. La «mafia più ricca del mondo che domina la regione più povera d’Europa». Dove la povertà è, ovviamente, strumento di governo. Come in tutto il Sud. Perché chi è libero dal bisogno è meno propenso a piegarsi. Perché la malavita e la malapolitica vogliono un cittadino-suddito sempre col cappello in mano, sempre a chiedere, implorare ed aspettare.
«La ‘ndrangheta ha saputo cogliere un momento storico importante. Mentre i Corleonesi erano impegnati nello stragismo e lo Stato era impegnato con Cosa Nostra, la ‘ndrangheta ha prosperato. Per anni è stata sottovalutata, considerata una mafia stracciona, quindi ha avuto vita facile nell’intessere rapporti con i trafficanti colombiani. I consumi di droga stavano cambiando, l’eroina stava lasciando il posto alla cocaina. Di cui la ‘Ndrangheta è quasi monopolista in Europa. Anche grazie alla Santa».
La Santa
«Per la prima volta nella storia della ‘ndrangheta si permette la doppia affiliazione. Alla Santa potevano accedere solo i vertici dell’organizzazione, elementi selezionati. I grandi patriarchi come Ntoni Macrì, Mico Tripodo, Mommo Piromalli non erano d’accordo. Furono eliminati. I nuovi capi come i De Stefano di Reggio, Peppe Cataldo di Locri entrano in contatto con la massoneria e questo significa entrare in contatto con medici, ingegneri, avvocati, magistrati. Significa stare nel giro della gente che conta. Significa che la ‘ndrangheta non si accontenta più di chiedere la mazzetta, ma entra a pieno diritto nei circuiti in cui si decide ad esempio se l’opera pubblica si deve fare, dove e da chi».
La solita storia. Il film visto mille volte. I vecchi boss “buoni” fatti fuori da rampanti senza scrupoli.
Massì, tanto, fino a che si ammazzano tra loro… è il commento di molti. Ma questo, ormai dovremmo saperlo, non risolve il problema: lo aggrava. Perché dalle sparatorie esce vincitore sempre chi spara di più.
Lo Stato
E lo Stato, in tutto questo?
Abbiamo la migliore legislazione antimafia e la miglior polizia giudiziaria del mondo – parola di Gratteri. Ma è il sistema giudiziario che non va. Elefantiaco, farraginoso, dai tempi biblici: una fabbrica dell’inefficienza. O, più in tono, una fabbrica dell’ingiustizia. Col solito povero cristo stritolato tra la mafia e la burocrazia, una più incomprensibile e impenetrabile dell’altra.
«In generale, da parte della politica e del Legislatore c’è un’assoluta miopia nei confronti di tutto il fenomeno mafioso. Con il sistema giudiziario attuale non si va da nessuna parte, non ci sarà mai la possibilità di arginare il fenomeno mafioso. La ‘ndrangheta è sempre più ricca e potente, ed è sempre più difficile da combattere. I vari governi si sono mossi solo quando le prime pagine dei giornali hanno pubblicato per un paio di giorni di seguito la stessa notizia. Allora sono costretti a intervenire. Spesso legiferano in modo isterico, sempre di corsa e in affanno. E questo accade perché manca la forza e la volontà di creare un sistema giudiziario proporzionato alla realtà criminale mafiosa»
Emblematico il caso delle intercettazioni. Che sono il mezzo più economico (6 euro più iva al giorno contro anche 2000 di un pedinamento), più sicuro e più garantista che ci sia. Una prova spesso decisiva, che non va buttata. Nonostante la malafede dei media, che parlano di 7 milioni di persone intercettate quando sono 7 milioni di utenze. Basti pensare che per 50 persone intercettate bisogna spesso intercettare 10.000 utenze. (Vedi video).
«La ‘ndrangheta sta dove c’è da gestire potere e denaro, sia esso privato o pubblico. Non è mai stata anti-stato. Al contrario ha sempre convissuto bene con lo Stato.
Ha sempre cercato e trovato accordi con lo Stato e con le istituzioni.
È molto forte. Se lo Stato non si dimostra sufficientemente forte e determinato, ci sarà sempre una maggiore invasività della ‘ndrangheta nella vita quotidiana.»
È questo il destino che ci aspetta. Far fronte al problema, o esserne travolti. Tanto per cambiare.
mario albrizio
Abbiamo ripreso alcuni contenuti (gli stessi della serata), per bieca comodità, da questa bella intervista di Fuoripagina.