”La miseria del Mezzogiorno era inspiegabile storicamente per le masse popolari del Nord; esse non capivano che l’unità non era avvenuta su una base di uguaglianza, ma come egemonia del Nord sul Mezzogiorno nel rapporto territoriale città campagna, cioè che il Nord concretamente era una “piovra” che si arricchiva alle spese del Sud e che il suo incremento economico-industriale era in rapporto diretto con l’impoverimento dell’economia e dell’agricoltura meridionali.”
sei volte trenta giorni di sole a strapiombo sulle teste […] da noi si può dire che nevica fuoco.Una condanna infernale.
L’energia è potere. E noi il potere non ce l’abbiamo da un pezzo – anche se l’energia ci piove letteralmente addosso.
Da un clientelismo non di rado mafioso che è sostenuto dal patto scellerato tra Stato e Mafia, anch’esso vecchio come l'”Unità”.
Dall’incredibile beffa di un suggello culturale senza appello. Di una condanna dell’intero Sud come di una società “culturalmente” e intrinsecamente mafiosa.
Come se in una colonia penale gli aguzzini accusassero i detenuti di essere intrinsecamente amanti delle loro catene…
Sanno bene, in realtà, che le catene più efficaci sono quelle mentali. Che non c’è schiavo più obbediente di chi considera “giusta” o addirittura “naturale” la sua condizione.
Questa vox populi diffusa, in realtà martellata da 150 anni di media prezzolati e ancor più schiavi, secondo cui i meridionali sarebbero simpatici ma inefficienti e predisposti alla mafiosità, e i settentrionali cortesi ed eventualmente ipocriti ma lavoratori e industriosi, ergo benedetti dal benessere.
Mai nella Storia – che pure abbonda di ingiustizie – si è assistito a un tale bombardamento di idiozie interessate che hanno finito per convincere i dominatori di essere anche i giusti, e gli oppressi di essere anche quelli sbagliati.
Una fenomenologia servo-signore al contrario, dove il riscatto del servo è preventivamente impedito dalla propaganda del signore.
Mai nella Storia si è privato un popolo intero della sua dignità, per poter mascherare e giustificare le crudeltà, le ingiustizie, la intrinseca mafiosità del potere quando non è sorretto dalla trasparenza e dal consenso civile.
Perché la mafia e la mafiosità non appartengono ai popoli, ma ai potenti senza consenso. E gli Italiani del nord e del sud sono da un secolo e mezzo prigionieri di un potere che usa la disinformazione e la mafia come strumenti di governo.
Siamo l’unico Paese – nel mondo autoproclamatosi civile e libero – in cui la stampa è soggetta al famigerato Ordine dei Giornalisti, una creatura voluta da Mussolini per controllare e strumentalizzare l’informazione – e che i suoi oppositori, successori e “liberatori” si sono guardati bene dal toccare, sottolineando così una linea di continuità anti-democratica che va ben al di là dei nomi e degli individui, e persino dei partiti e delle così dette ideologie.
Una fabbrica di servi sciocchi e privilegiati che partiti e corporazioni di ogni risma e colore hanno difeso con le unghie e con i denti perché così potevano spartirsi il consenso mediatico in maniera tale da conservare il proprio potere altrimenti ingiustificabile, mentre magari si riempivano la bocca della retorica della Resistenza, della Liberazione e (beffa delle beffe) della Democrazia.
Un’associazione a delinquere chiaramente incostituzionale il cui scopo era ed è narcotizzare l’opinione pubblica, escludere di fatto i cittadini dal livello di consapevolezza e di partecipazione che la Costituzione garantisce loro.
E cos’altro dovevano fare, partiti di ogni (e di nessuna) qualità che hanno sempre e ostinatamente rifiutato di diventare associazioni pubbliche come la Costituzione prevede e sono cocciutamente rimasti associazioni private, a volte persino personali e familiari? essendo peraltro certi che avrebbero recuperato e moltiplicato di fatto, con uno scempio continuo, i vantaggi a cui rinunciavano per non sottoporsi al controllo pubblico.
Così, se guardiamo la Storia, siamo passati dal dominio dei Borboni a quello dei Savoia che hanno occupato, massacrato, sfruttato, rapinato, usato i soldi delle casse meridionali per ripianare i loro debiti, rafforzato la mafia per tenere buoni i meridionali con i metodi spicci che lo Statuto albertino prima (1848), e ancor più la Costituzione repubblicana poi (1948), non avrebbero legalmente consentito e non consentono.
Una colossale tragedia storica che viene ancora presentata come un grande trionfo, e nientemeno che un passo avanti verso la civiltà.
Una schiavitù che incredibilmente e acriticamente “celebriamo”, con sfilate e bandieroni – una sindrome di Stoccolma, l’attaccamento ai propri carcerieri, moltiplicata per 150. E passa.
Carcerieri che non sono i settentrionali, gli italiani del nord. Ma le cosche al potere che hanno mandato cittadini a depredare altri liberi cittadini – per tenere entrambi, mentre sbandieravano le Costituzioni più avanzate, allo stesso cappio di disinformazione, mafia e pregiudizio interessato.
Che Paese è, quello in cui persino nelle Università si indegna che la Costituzione scritta o formale è una cosa; quella di fatto o “materiale” un’altra. Anzi, tutto il contrario. Che destino può avere un Paese così?
E questo castello di carta e di menzogne che fine poteva fare? Qual è il destino di uno Stato senza Verità?
Si è sgretolato nella sua stessa velleitarietà e siamo passati, come Italia, dal controllo dei Savoia al controllo degli “Alleati”, angloamericani e non solo.
Perché il potere senza l’intelligenza è la peggiore delle condanne. Perché puoi stuprare il tuo popolo, ma poi devi fare i conti con la Storia. E questo non vale solo per i Savoia, e non vale solo per ieri né solo per gli altri.
L’orbita dei (nuovi) Liberatori
Col passaggio all’orbita angloamericana abbiamo subito una secca, ulteriore, sostanziale perdita di sovranità – che però è stata contrabbandata (altrimenti cosa c’era a fare l’Ordine dei Giornalisti?) come una vittoria di civiltà e nientemeno che una Liberazione.
Il che purtroppo è vero. Ci si è liberati dal nazifascismo – e questo è stato sacrosanto. Ma solo con le armi straniere – quindi al costo di perdere la propria libertà e la propria sovranità di fatto.
E questo lato B della storia viene accuratamente tenuto in ombra dai cantori delle magnifiche sorti e progressive di un Paese che passa di tragedia in tragedia mentre festeggia la sua hola calcistica del momento.
Si preferisce raccontare la favola dei liberatori “buoni”. Il regno dell’autoconsolazione, dove le batoste della Storia vengono contrabbandate per grazie divine.
Un Paese dove saltano in aria banche e stazioni e treni, dove aerei di linea vengono abbattuti, i cui massimi leader scompaiono in misteriosi “incidenti” aerei o vengono platealmente rapiti, detenuti e “giustiziati” – se si mettono in testa di fare l’interesse del Paese e non quello dei governanti occulti. E tutto questo senza che si abbia uno straccio di verità, dopo decenni.
E ce lo ricordiamo, che fine fanno i Paesi senza verità?
Un Paese dove per ammazzare due giudici che sapevano di essere nel mirino, e che essendo coraggiosi non disdegnavano di farsi trovare soli in certe passeggiate di routine – si scatenano scenari apocalittici, si svellono autostrade e si dilaniano città.
Perché è importante far fuori quei magistrati – per queste menti rozze e selvagge che Falcone ha avuto il torto (l’unico) di chiamare “raffinatissime” – ma è ancora più importante far vedere chi comanda. Chi ha, se non il diritto, la forza.
L’Europa
Però, per fortuna c’è l’Europa. Un club franco-tedesco in cui contiamo come il due di briscola ma siamo ufficialmente annoverati tra i soci “importanti”.
Quantomeno, fino ad oggi, tra i soci più grassi che magri.
Una via d’uscita per bilanciare la formidabile influenza angloamericana.
Un tentativo coraggioso, per un Paese dal grande passato ma dal presente mediocre e dal futuro incerto – di ritagliarsi uno spazio autonomo tra “alleati” contrapposti, “atlantici” e nord-europei.
Lo sforzo a volte eroico, a volte cialtronesco di districarsi e conquistare la sua libertà, giocando la padella contro la brace, per scongiurare il rischio di esserne il pasto.
Come Italia, siamo in una “Unione” europea dove i “grandi” mangiano i “piccoli” e noi siamo precisamente nella fase in cui non siamo più abbastanza grandi per essere tra quelli che mangiano, ma abbastanza grossi per essere il piatto forte di certi appetiti.
Perché intanto che ci si balocca col cerino, qualcuno ha già inventato una torcia. Magari elettrica.
E tutto questo, come sempre, stancamente, ma ostinatamente propagandato come progresso e civiltà; l’obbligo di rallegrarsi perché si sta affondando col Titanic e non col gommone. Quando ad affondare è in primo luogo la Verità.
E ce lo ricordiamo, che fine fanno i Paesi senza verità? Lo hanno imparato, i nostri leaders “atlantici” che pensano di battere la concorrenza mondiale succhiando il sangue dei loro “alleati”?
La ferola nucleare
Il Lettore si chiederà cosa c’entri questo con le energie alternative.
C’entra eccome. Perché per la prima volta nella Storia, oggi siamo in grado di produrre energia da fonti rinnovabili non solo in quantità tale da soddisfare, in un tempo ragionevole, tutte le richieste – ma anche in modalità tali da favorire contemporaneamente lo sganciamento dal petrolio e dal nucleare, cioè dalle vere colonne portanti della società semibarbara in cui viviamo.
E non è colpa di chi scrive se tutto è correlato, tutto incrociato, se tutto dipende da tutto. Se per impiantare anche solo un semplice impianto fotovoltaico sul tuo tetto devi scontrarti con gli assetti mondiali del potere e le sue estreme propaggini, nazionali, regionali, provinciali, comunali e magari condominiali.
Una società in cui pochissimi “comandano”, nonostante la finzione (planetaria, non solo italiana) della Democrazia, proprio attraverso il controllo delle risorse energetiche “concentrate” petronucleari. E, non secondariamente, attraverso il controllo dell’informazione, attraverso cui si narcotizza l’opinione pubblica mondiale e la si mantiene in condizione di inferiorità e ignoranza, cioè di obbedienza.
Sono, ahimé, criteri di governo antichi. Ma, come tutto il resto, anche questi criteri sono fatti storici, e come tali destinati a passare. Che sia oggi quel giorno? Noi speriamo di sì.
Ha detto lucidamente Rousseau che “Non abbiamo bisogno di buoni governanti. Ma di buoni cittadini.” Cioè cittadini informati, autonomi e consapevoli. In una parola, liberi. Se i cittadini sono così, i buoni governanti vengono da sé.
Una democrazia vera ha bisogno di cittadini attivi, che sono la vera energia del progresso e l’unica reale garanzia di un futuro meno cupo, meno fosco, meno terribile di quello che ci appare.
Un futuro brillante comincia da cittadini autonomi. In questo senso, ogni volta che su un tetto compare un impianto fotovoltaico, bisognerebbe festeggiare, perché quella famiglia ha conquistato un pezzetto della propria libertà.
E questo vale per le città, per gli Stati, per tutto.
La grande scommessa del nostro tempo è sconfiggere la guerra. Mettere fine alla violenza. Creare uno Stato mondiale che abbia questo come suo unico fine: mettere fine alla guerra. A questa incredibile fabbrica di povertà e ingiustizie, di orrore e sottosviluppo: l’unica fabbrica che esiste dalla notte dei tempi e che non è mai andata in crisi.
Ma la guerra è precisamente lo strumento di una società governata dall’ignoranza. Una società in cui chi detiene il controllo manda le masse narcotizzate/dominate a combattere per lui/loro che ne trarranno discutibili benefici, sia pure al costo di rimanere schiavi della propria barbarie – che invano si illuderanno di poter contrabbandare come arte di governo.
Non spetta a noi giudicare il passato. Spetta a noi, però, trarne insegnamento– perché quella è l’unica strada per costruire un futuro migliore, all’altezza delle nostre speranze.
E la strada è questa. Creare le condizioni per una crescita civile generalizzata, planetaria. A partire dai cittadini, il vero perno motore del cambiamento. Le vittime di sempre, che diventano protagonisti. Il nostro sogno. Le piramidi, anche quelle umane, hanno fatto il loro tempo. Via con le reti attive.
Un sogno che può divenire realtà. E, soprattutto, l’unico sogno la cui realizzazione potrà consentirci di avere ancora una realtà, facendo guerra alla guerra: l’unica guerra “giusta” e che valga la pena di essere combattuta.
Solo se faremo e vinceremo quella guerra, la guerra della pace, potremo ancora avere un futuro. E un futuro incomparabilmente migliore.
Ecco – quando giro per i dintorni e vedo piantagioni di pannelli fotovoltaici; quando leggo le cronache, locali e non, su imprenditori delle energie alternative in lotta con contesti ostili; quando ascolto i miei amici ambientalisti (con cui molto abbiamo in comune) suonare le campane opposte; quando leggo di residui nucleari sulle Murge e mi è improvvisamente chiaro l’abisso di ignoranza in cui ci hanno volutamente tenuti e senza dubbio ancora ci tengono; quando arriva Minosse, o Lucifero, o altra ondata di calore con i suoi 45 gradi e ci schiaccia a livello di larve borbottanti; quando vedo una madre appesantita dagli anni che sfodera il suo più bel sorriso (magari amorevolmente sdentato) per dare coraggio al figlio che emigra; quando assisto al consueto dilaniamento delle finanze pubbliche – locali e non – da parte della storica, millenaria alleanza tra i voraci e gli incapaci…
Allora mi pare di sentire il racconto delle cose, dei muti testimoni che registrano e, a modo lor, spiegano. Il canto disperato della pietra brulla, il racconto della ferola arsa dall’aridità, come la nostra libertà dalle menzogne. Le mille voci di una Murgia che racconta senza parlare, e il cui racconto si intreccia a quello di tutte le altre terre, incuranti di ogni tipo di confine.
E allora cerco il bandolo della matassa e, come sempre, ri-scopro che la matassa è una sola, sempre la stessa. Globale. E che nessuno può illudersi di risolvere i suoi problemi se non collocandoli in un quadro di risoluzione generale.
Allora mi chiedo se non sia venuto il momento di guardare oltre e di puntare più in alto. E se questo cambiamento non possa partire proprio da qui. Dalla cittadina più sonnolenta di questo infinito far west.
Dalla bella addormentata che a via di essere “liberata”, come il Sud, come l’Italia, come l’Europa e il pianeta – rischia di affondare nella sua schiavitù, in un mondo in cui, come ha scritto Leopardi, nessuno è felice.
Neanche quelli che “hanno”. Neanche quelli che “comandano”. E quanto povere e ridicole suonano queste parole quando le guardiamo per quel che sono, e magari le confrontiamo con la nostra condizione e con i nostri desideri di esseri umani.
Immagino la mia città che si reinventa. Che supera il complesso di “essere piccola e attendere ordini”; e che decide di “essere adulta e organizzarsi il futuro”. Che sfrutta il suo essere piccola e ancora a misura d’uomo per divenire modello.
Diventare modello di progresso sostenibile |
Che trasforma il suo stato di arretratezza in una perla di innovazione. Che indica per prima il passaggio ad una società aperta, diffusa, realmente democratica, fondata non su recinti partitici e ideologici, ma sul confronto delle idee e sulla partecipazione, sulla decisione collettiva e sulla realizzazione condivisa.
Una città orizzontale, collegata e flessibile, dinamica, affamata di novità, pronta a sfruttare ogni occasione, a valorizzare storia e territorio e a conquistare il futuro nell’ottica di un progresso generale.
Una città che non annulli le diversità, ma le esalti, come un grande cuoco mette insieme diversi e opposti sapori per creare un grande piatto.
Ma basta un’occhiata per rendersi conto di quanto siamo lontani da questa condizione, e di quanto una politica assolutamente inadeguata, il mosaico dei recinti di interessi spacciati per ideali e chiamati “partiti”, la scarsa capacità imprenditoriale di fare innovazione anziché limitarsi alla piatta esecuzione, persino l’ostinato oltranzismo di una parte degli amici ecosensibili.
Tutto ci è contro. A partire dalla “tradizione”. (Uno dei motivi per cui ne ho sempre diffidato). Ma non abbiamo altra scelta. Ed è questa la nostra forza.
Riuscire a capovolgere il nostro mondo. O affondare. Perché il mondo in cui abbiamo vissuto, quello sì, era un mondo alla rovescia.
Cominciamo da qui. Cominciamo ora.