Qualcuno fermi le potature dei tigli su Corso Cavour (e non solo).
L’ex assessore Nicola Amenduni sull’ennesima emergenza urbanistico-ambientale.
L’ex assessore Nicola Amenduni sull’ennesima emergenza urbanistico-ambientale.
Il 10 Febbraio scorso ho mandato la mail di cui sotto al Sindaco sul tema della manutenzione del verde urbano, con mero spirito di collaborazione civica e senza saccenteria, evitando clamori pubblici.
Alla c.a. del signor SindacoMi scuso preventivamente per l’eventuale disturbo dalle sue fatiche amministrative e Le chiedo un po’ della sua attenzione.
Ho avuto già modo, come sa, di accennare a Lei, informalmente e fugacemente, alla questione in oggetto e, come promesso, ora lo faccio formalmente perché possa avere meglio traccia del tema.Mi è capitato di vedere (speravo di no a dire il vero) le conseguenze dei primi lavori di manutenzione delle essenze arboree parte del patrimonio forestale urbano (alberi di Platano specialmente, Tiglio e Roverella), su via Madonna delle Grazie, extramurale Scarlatti, Stazione Carabinieri ed area attrezzata a verde contermine l’incrocio semaforico su via Corato.Orbene, pur non in veste di tecnico del settore, mi permetterà di rappresentare forti riserve sulle modalità dei lavori stessi.
Sa bene Lei che in qualche modo mi sono occupato del tema, già dieci anni orsono, in qualità di assessore del nostro Comune, ma, più di tutto, per forte sensibilità personale rispetto alla questione qui trattata.Perciò, pur accettando preventivamente eccezioni alle mie riserve (nessuno è perfetto), ritengo tuttavia di avere una qualche cognizione di causa.All’epoca, per quanto ho potuto, ho cercato di impostare politiche di gestione del verde pubblico che, fra l’altro, tendessero ad evitare prassi colturali che comportassero interventi di potature delle essenze arboree invasive e deleterie per le piante stesse (scapitozzature – tagli a sezione consistente etc.); pur non essendo allora ancora diffuso l’uso di motoseghe, che se non usate moderatamente, possono indurre più facilmente, ora più di ieri, a tagli indifferenziati e consistenti.Per far ciò non mi servii solo dei personali, riflettuti e studiati convincimenti (è mio costume riflettere molto prima di parlare, come penso Lei mi riconoscerà, avendo esperito insieme nel passato l’azione amministrativa), convincimenti che pure, naturalmente, possono essere opinabili; potei anche fruire della consulenza di pubblici servizi tecnici regionali a ciò preposti.Era allora, soprattutto, il caso del monumentale impianto arboreo di tigli su corso Cavour, per cui la raccomandazione principe ed assoluta fu: “Chirurgia conservativa in caso di necessità ed al massimo spollonatura diradante onde consentire alleggerimento vegetazionale e soleggiamento nelle parti centrali della chioma stessa delle piante”.A proposito dei tigli, il cui grande impianto rende unico lo scenario dei nostri corsi urbani (corso Cavour e Corso A. Iatta), mi permetterà di esprimere tutto il mio rammarico, anche se a posteriori, riguardo agli interventi di potatura consistente, peraltro in piena fase vegetativa, effettuati su corso A. Iatta l’anno scorso, le cui ragioni tecniche mi apparivano, e mi appaiono purtroppo incomprensibili (non servirono neanche ad evitare il periodico attacco di fitoparassiti, qualora fosse stato quello il motivo).Diversamente mi sentirei di dire delle spollonature che poi , infine, furono effettuate su Corso Cavour, le quali apparivano più razionali, a parte qualche taglio, anche lì eccessivo, di rami di una certa consistenza, diventati antiestetici monconi.Allo stesso modo, mi è sembrato alquanto ingiustificato l’intervento sui secolari, storici e rari in città, esemplari di Roverella (Quercus Pubescens) insistenti sull’area attrezzata all’incrocio semaforico di Via Corato.Come, anche, mi risultò poco accettabile l’intervento che fu effettuato, per la volta ennesima, sui secolari lecci antistanti il cimitero, le cui basi furono, peraltro, scriteriatamente ed ulteriormente soffocate con manti di conglomerato bituminoso.Certamente capitozzare gli alberi costa meno tempo e risorse che spollonare, ma, trattandosi del verde urbano cosi prezioso in città a mitigare tanti disagi della nostra vita quotidiana urbana ( senso del bello, evitamento delle isole di calore, difesa dagli agenti inquinanti), non penso possa essere quello il giusto criterio.Non sto a raccontare qui dei tanti casi di città dove è possibile apprezzare criteri diversi e più efficaci di governo degli alberi ad alto fusto come i platani o i tigli; forse perché dotate di maggiori risorse o perché tradizionalmente più attrezzate?Ritengo che le risorse, quelle poche di cui possiamo disporre per le note difficoltà della finanza pubblica, possano essere impiegate anche per nuovi impianti, visto che le piante non sono mai troppe; o anche per fare micro-interventi di riqualificazione e manutenzione anche al di là dei corsi centrali (ci sono tanti casi necessitanti come, ad es., quello ormai degradato, ma di recente ristrutturazione, antistante l’ex convento dei Cappuccini e la scuola elementare Bovio; o ancora le porzioni a verde dell’area Contratto di Quartiere II, mai ben arredate con auspicabile buona fito-associazione, o addirittura abbandonate a se stesse li dove arredate (giardino fito-depurazione etc.).Che dire, poi, di quelli che sembrano veri e propri atti di Killeraggio, relativamente ai tanti alberi, specie platani, ormai fatti morire sulle pubbliche vie nella zona industriale e artigianale a forza di massacranti potature (o forse agenti chimici?); a chi e a cosa potevano dar nocumento?E perché non impegnarsi anche a liberare un po’ i tanti alberi lungo le strade cittadine impiantati in formelle ormai inadeguate (ad es. gli alberi residui su extramurale Scarlatti o le secolari roverelle sulla via dell’ex tribunale, letteralmente soffocate dall’asfalto? Inezie potrà dire qualcuno; invece no! sono le tante piccole ed importanti cose che nella loro peculiarità danno l’idea di attenzione e di qualità urbana.Ritornando al tema di partenza, in definitiva direi che letteratura scientifica e tecnica è alquanto univoca, a quanto mi è dato sapere, sul fatto che le piante (come ogni soggettività biologica d’altronde) hanno una propria capacità vegetazionale autoregolativa tendente alla proporzionalità (e quindi auto-potante si potrebbe dire); tanto, come regola generale, salvo casi da valutare con più attenzione specifica, naturalmente.Non voglio dilungarmi e sottrarre ulteriormente tempo; se proprio non si vuol condividere tale letteratura, che almeno si tenga più in considerazione lo stesso Capitolato Speciale di Appalto per la gestione del verde urbano:
art. 42 – Operazioni di potatura :
Si fa in ogni caso presente che le potature, escludendo quelle di formazione, rimonda, potature particolari legate a situazioni specifiche, oppure interventi di leggerissima entità, sono operazioni quasi sempre dannose per la pianta. …
Le potature drastiche o irrazionali contribuiscono a rendere un albero pericoloso poiché modificano la naturale forma e disposizione della chioma ed impediscono alla pianta di attivare sistemi naturali (legno di tensione o compressione, appoggio reciproco fra rami all’interno della chioma) di resistenza agli agenti meteorici (vento, neve).
Inoltre le potature creano importanti scompensi sia sull’apparato radicale sia sull’intera fisiologia della pianta rendendola più debole, soprattutto se vecchia o sensibile alla potatura.
I tagli eccessivi obbligano la pianta ad utilizzare le energie accumulate provocando uno “stress energetico” la cui reversibilità ed importanza è funzione di diversi fattori fra cui: intensità del taglio, condizioni ambientali, età, condizioni vegetative e sanitarie del soggetto ecc.
Anche l’apparato radicale, in seguito alla potatura, muore in parte con possibili conseguenze sulla stabilità.Solo in casi particolari potature drastiche su piante vecchie hanno esito positivo sull’attività vegetativa riducendo la fruttificazione; gli esiti sono però sempre limitati nel tempo.L’apertura di grosse ferite permette anche a molti “parassiti da ferita” di entrare all’interno dell’albero provocando malattie.Molto gravi sono i casi dei platani, degli olmi e dei cipressi mediterranei.Nei platani, anche attraverso le ferite da potatura (non solo attraverso queste) può avvenire l’inoculo diretto del fungo agente del cancro colorato del platano (Cerastocystis fimbriata f. Platani).
Mi sono preso l’onere di una breve documentazione fotografica che mi riservo, se vorrà, di inviarLe.Per tutto quanto premesso, sempre a discreto parere di parte, La pregherei di far prendere in considerazione il tema, inibendo nel frattempo ulteriori operazioni di potatura di siffatta caratteristica.Con mero spirito di civica collaborazione, confido nella sua attenzione e sollecitudine.Cordiali saluti.Nicola Amenduni
Non so quanto sia stata presa in considerazione; né c’è stata ulteriore interlocuzione.
Mi è sembrato di riscontrare, forse, solo una leggera correzione di pratica, specie in riferimento ai platani, la cui capitozzatura è apparsa in seguito meno radicale ed effettuata ad un livello superiore dei rami di imposta anziché quasi a livello del tronco stesso come stava avvenendo nei primi giorni, come in riferimento ai Cercis Siliquastrum (c.d. albero di Giuda) su corso Carafa e corso Giovanni Jatta, potati meno radicalmente degli anni scorsi.
Mi è sembrato di riscontrare, forse, solo una leggera correzione di pratica, specie in riferimento ai platani, la cui capitozzatura è apparsa in seguito meno radicale ed effettuata ad un livello superiore dei rami di imposta anziché quasi a livello del tronco stesso come stava avvenendo nei primi giorni, come in riferimento ai Cercis Siliquastrum (c.d. albero di Giuda) su corso Carafa e corso Giovanni Jatta, potati meno radicalmente degli anni scorsi.
Comunque mi sarei aspettato più attenzione e ben altra pratica: semplice e diffusa spollonatura che come si sa richiede più tempo e più pazienza d’opera, salvo i casi necessitanti tagli più radicali per rimonda etc.
Purtroppo stamane ho potuto vedere iniziare la potatura dei tigli di corso Cavour che mi auguravo non avvenisse, almeno in quel modo, cosi come avvenuto l’anno scorso su corso Antonio Jatta con i deleteri risultati che molti, i più sensibili naturalmente, hanno potuto verificare: ripetersi delle fitopatologie con il caratteristico ingiallimento anticipato dell’apparato fogliare, che forse si presumeva di correggere con la potatura più radicale,
perdita della caratteristica proporzionalità delle forme, a palchetto e/o fastigiato in molti casi, dell’apparato aereo dei tigli (infatti adesso si hanno inestetici tristi monconi oltre ad una selva aggrovigliata di nuovi polloni causati dalla reazione delle piante), per non parlare dello stress che le piante hanno potuto subire, cosa che spesso ha conseguenze nel tempo più lungo.
Ricordo anche la scelleratezza con cui, qualche anno fa, furono trattati gli apparati radicali dei tigli stessi su Corso A. Jatta, in occasione del rifacimento della rete idrica, è come segare un monumento per far spazio ad un tubo senza pensare ad opportuni deviazioni o buone pratiche onde ottenere un risultato e l’altro.
Sappiamo tutti, chi consapevolmente e chi no, quanto quegli alberi creino uno scenario unico del nostro Corso monumentale e, pertanto, come monumenti vanno trattati con pazienti opere di mantenimento, di chirurgia conservativa appunto, e di spollonature annuali; come forse si faceva in passato quando non dettavano legge le veloci, facili ed inesorabili motoseghe (senza nulla togliere ai vantaggi delle tecnologia).
La bellezza di quel Corso con i suoi alberi (quasi un elegante bosco in città) rinfranca la vista, non solo di noi ruvesi, dalle tante brutture delle brutte periferie delle nostre città del secondo dopo guerra, che sono uno shock per gli occhi e quindi per l’anima, come sappiamo.
Resta stupefacente come più di un secolo fa abbiano avuto la lungimiranza di progettare simili spazi urbani, che nella odierna urbanistica vediamo raramente purtroppo; forse perché ciò che guidava gli uomini di allora non era solo il “vil denaro” o la cieca fretta pseudo-efficientista?
La questione è complessa per essere discussa adesso.
Ridicolo poi, se non fosse dannoso e triste, ad es., è vedere stesa la moquette, sintetica e soffocante, sotto lo splendido esemplare di Cedro dell’Himalaya (Cedrus Deodara) in piazza Bovio (forse il segreto di tale bella pianta, che tutti ci ammirano, è l’ampia base di terra nuda, traspirante e ben pregna di acque meteoriche, oltre alla pavimentazione circostante in chianche calcaree a fughe aperte che forse garantiscono più freschezza, traspirazione e drenaggio idrico alle radici, rispetto ad altri tipi di pavimentazione).
Paradossalmente la mancanza di interventi di potatura, in qualche anno recente, forse per questioni di bilancio, rendeva più gradevole lo scenario verde delle ricche ed alte chiome degli alberi lungo le strade cittadine.
Va bene, l’investimento in questo settore non è mai poco; procuriamo lavoro di cui si ha tanto bisogno, ma facciamolo oculatamente.
Perciò, decido ora di rendere pubblica questa mia missiva al Sindaco, vista la sostanziale inefficacia di risultato, e considerato il tema che dovrebbe essere a cuore a tutti; anche se consapevole che, purtroppo, spesso, sono solo minoranze, quand’anche attive, ad occuparsi di certi temi ritenuti forse superflui (a cosa vai badando, si dice); peraltro è in moltissime città, in quelle meno attente, specie nel nostro sud, che così si fa.
Certo anch’io, non nascondo, ho avuto remore a spendere del tempo per la tematica, perché ho sempre in mente, ad es., la priorità perorante degli occhi di chi muore affogato nel Mediterraneo per sfuggire alla morte sicura nella terra di provenienza, o degli occhi dei bambini ed anziani della Siria, o la crudele idiozia dei cosiddetti combattenti dell’ISIS; o l’abolizione sostanziale dello Statuto dei Lavoratori (autentico baluardo in difesa dei diritti umani costato tanto sangue) ad opera di un sedicente governo progressista; ma tant’è, nell’impotenza facciamo qualcosa almeno per salvare un po’ di bellezza qui da noi.
Non pretendo di aver ragione ad ogni costo; mi aspetto che altri mi convincano efficacemente del contrario.
E voglio sperare pure che non si usino erbicidi in ambito urbano come è capitato di vedere l’anno scorso (il capitolato di appalto lo prevede solo in rarissimi casi – sarebbe stato meglio di no, comunque, perché fa male ai lavoratori che li usano, agli abitanti ed agli animali).
Son tante le cose ed i particolari da raccontare circa l’attenzione che occorre avere per i tanti piccoli, e grandi, interventi in città che spesso nell’insieme danno l’effetto di mosaici disturbanti; ne abbiamo accennato altre volte in passato.
Perciò sono stato sempre del parere che occorra una sorta di ufficio comunale – authority in tema di ambiente e bellezza (in passato si diceva ufficio al decoro), da cui vaglio passino tutti i progetti di lavori pubblici e privati; o, in mancanza, che almeno ci si doti di regolamenti ed indirizzi (abachi etc.) più incisivi sul tema; anche se certe volte non bastano i regolamenti se non fatti applicare (basti vedere le cose non fatte, sia dai privati che dal Comune nella nuova zona PIP (Piano Insediamenti Produttivi), in tema di arredo verde, recinzioni e piste ciclabili nonostante le precise disposizioni di quel Piano Pip predisposto sin dal 2000.
Adesso siamo in attesa di vedere i risultati dell’intervento nei pressi della scuola Media Cotugno – area verde Comparto X – dove voglio sperare rimanga un po’ di prato verde su cui camminare, e dove penso non si sia fatta una buona scelta circa la fito-associazione di alberi ed arbusti, almeno da quanto è dato vedere al momento; forse si è persa l’occasione di un impianto verde più consono ai canoni della biodiversità, tantopiù se autoctona (pensare anche che l’intervento appare finanziato da fondi regionali che tanto raccomanda importanti nuove buone pratiche).
E che dire ancora dei conglomerati bituminosi con cui si è attrezzato l’attiguo parcheggio che si affaccia sull’extramurale-nord (è mai possibile che con tutte le normative statali e regionali sulla permeabilità necessaria dei suoli non si immagini altro che l’asfalto, che oltre alla impermeabilizzazione provoca anche isole di calore nella nostra calda estate ed è anche visibilmente brutto? Si può ammirare (?) una grama fila di Pinus Pinea imprigionata in un piazzale di asfalto; insomma un’altra occasione persa per le buone pratiche).
Mi è capitato pure di vedere toppe di asfalto fra le storiche lastre laviche e calcaree di Corso Gramsci, ad es.; come pure assistiamo da tempo alla tompagnatura con asfalto dei percorsi di chianche calcaree (scolpite a mano) a valle dei marciapiedi, su cui dovevano defluire le acque meteoriche lungo le strade della Ruvo primo-novecento (Zona A1); molto più sbrigativo, si sa.
Tante inezie, si dirà; invece abbiamo tanto bisogno di sensibilità e pazienza per salvaguardare e creare la bellezza e benessere dell’abitare.
Purtroppo la fretta è una delle cifre della nostra epoca, e capisco pure che ogni amministratore pubblico abbia l’ansia di dimostrare l’effettuazione di opere; nel peggiore dei casi per il mero e profittevole consenso nell’oggi, senza sguardo prospettico.
Peccato che spesso quell’ansia partorisca il brutto ed a costo delle risorse di tutti, oggi ed in futuro.
Si sa che per tale fine non c’è niente di meglio, almeno per parte del volgo plaudente, di un po’ di asfalto, e, qualche volta, anche di sbrigative, eradicanti motoseghe.
Peccato che spesso quell’ansia partorisca il brutto ed a costo delle risorse di tutti, oggi ed in futuro.
Si sa che per tale fine non c’è niente di meglio, almeno per parte del volgo plaudente, di un po’ di asfalto, e, qualche volta, anche di sbrigative, eradicanti motoseghe.