Una storia bellissima. Complimenti.
Fa vedere quei legami nascosti, ma fortissimi, che tengono unita l’Italia.
Grazie da Ruvo di Puglia, cent’anni dopo.
Testimonianze sulla Prima Guerra Mondiale – Archivio interviste Camillo Pavan, Grande Guerra 1: Rosa Cortesia, Vidor (TV)
Ripubblichiano per i nostri Lettori l’articolo di Francesco Lauciello per Il Sedente
Ruvo e la Grande Guerra: racconti dei profughi veneti a Ruvo nel 1918
Il parroco di Vidor(1), don Vittorino Costa, ha suonato la campana e tutti in paese si sono radunati. «Per conto mio la guerra la passa per di qua, ci conviene andare tutti di là del Piave», ha detto. E siamo partiti.
Inizia così il racconto di Rosa Cortesia(2), profuga veneta trasferitasi, insieme alla sua famiglia, a Ruvo di Puglia durante la Prima Guerra Mondiale. La sua testimonianza, insieme a quella della sorella Teresa(5), ci permette di far luce sulle vicende che toccarono la nostra città durante la Grande Guerra. Ruvo non fu interessata dai combattimenti e, proprio per questo motivo, fu meta di numerosi profughi, provenienti dai luoghi di guerra più caldi.
Il viaggio in treno dal Veneto a Ruvo era lungo ed estenuante, durava ben due giorni e tre notti, e l’arrivo in città era accompagnato da banchetti per rifocillare quella povera gente in cerca di pace. Nel racconto di Rosa traspare tutto lo stupore provato all’arrivo a Ruvo:
Ci hanno portato in una caserma dei carabinieri dove c’era la tavola piena di tutto. C’era soprattutto frutta: arance, pistacchi, fichi… Poi ci hanno portato nella chiesa di San Domenico sempre a Ruvo, e là hanno sistemato i letti e abbiamo dormito. Il giorno successivo ci hanno portati tutti in questo palazzo vescovile. Un grande palazzo. C’era un chiostro con delle bellissime colonne: era il palazzo del vescovo, e basta.
Il posto era bello, però acqua niente. C’era un pozzo … avevano appena fatto l’acquedotto, e avevano messo qualche fontana. Noi avevamo un pozzo e buttavamo giù la secchia con una corda e poi tiravamo su l’acqua. Siamo stati veramente bene. L’acqua del pozzo era buona.
Agli occhi dei veneti, molti “modi di fare” ruvesi, apparivano alquanto inconsueti: Per andare a suonare la campana non è come qua, che ci sono le corde. C’era una scala esterna che portava sul campanile [della cattedrale] e si suonava direttamente col battocchio. Si chiamava Vittoria Sorice ed era lei che andava a suonare.
A Ruvo non fu ospitata solo la famiglia Cortesia ma furono numerose le famiglie venete che trovarono accoglienza in città. Racconta Rosa:
Eravamo in dieci famiglie, cinque di Vidor e cinque di Cornuda(4). C’eravamo noi, un mio zio (Luigi Manto detto Ciodèra) con la sua famiglia, poi Bernardi Giovanni, Leonardo Feletto e poi una famiglia composta da mamma e due figli perché gli altri erano militari, anche questa Manto: Giovanna (Nana). Delle altre famiglie di Cornuda non ricordo il nome.
Ci siamo trovate benissimo, benissimo … perché guarda – per essere stati profughi – il primo giorno, (c’erano i) carabinieri alla porta, perché tutto il popolo veniva a vedere i profùmi.
Ci chiamavano i profùmi, perché loro non riuscivano a capire la parola profugo. Però ci portavano sempre roba, tanta farina bianca quella da fare il pane, fichi secchi. Adesso non ricordo più quanto e cosa, ma tutti portavano qualcosa, arance, ci facevano la carità.
Per i veneti non fu facile adattarsi al “nuovo” modo di vivere ruvese, anche a causa dei diversi usi alimentari:
La Commissione del paese aveva sistemato la cucina dentro da questo vescovo e avevano iniziato a farci da mangiare loro, minestrone con i ceci, con le fave … un giorno due e noi eravamo a terra! Non eravamo in grado di digerire il suo mangiare. Così hanno cercato di far sistemare la cosa dandoci un sussidio, e arrangiarsi col mangiare. Il loro mangiare non eravamo capaci di accettarlo, non ne eravamo abituati.
Dal racconto di Teresa emergono altri dettagli sulla vita a Ruvo all’epoca:
C’era la tessera del pane e noi che eravamo più grandicelle si “andava bottega” a prendere un po’ di zucchero. Per il latte, giravano per il paese con una vacca che aveva una campana. Portavano le misure con sé [per la vendita diretta]. Ma a Ruvo ne usavano poco di latte, mentre noi facevamo risi con il latte, polenta e latte, ecc. Per la polenta si andava per le botteghe a domandare se avevano granoturco.
Poi c’erano questi signori, perché era un paese grosso, che specie alla domenica ci portavano a mangiare a casa loro. Noi eravamo tre sorelle […] venivano a prenderci e ci portavano a casa loro.
Un giorno di domenica viene uno – e alla porta c’erano sempre i carabinieri – con un traino a due ruote grandi, e un cavallo. Hanno preso su queste bambine e ci hanno portato su una grande villa in campagna da una signora di nome Caputi. Ben, che pranzo! Mi sembra di star mangiandolo ancora adesso. C’erano i trascinati [gli strascinati] fatti a mano, simili alle orecchiette ma diversi; c’erano formaggi, carne, dolci, di tutto, con i camerieri che ci servivano. Mangerei anche adesso…
Il ricordo della signora Caputi era vivo anche nell’altra sorella che racconta alcuni particolari dellabella villa:
Poi sono andata a servire una gran signora che si chiamava Caputi, e questa signora ogni anno faceva un regalo. Ci ha chiesto quanti eravamo, che per Natale ci avrebbe fatto un regalo. Ha comprato calze, scarpe, tanta roba… Era una signora volubile, non cattiva. Mi aveva preso con sè perché dovevo leggerle a letto. Aveva un gran giardino con le muraglie tutt’attorno e in mezzo una vasca.
Là c’erano anatre, galline, colombi e la porta era coperta con il ferro e anche quella di casa. In casa c’era un portone per il quale entravano con la carrozza, e appena dentro c’era un frantoio.
Come si è potuto leggere da queste testimonianze, i ruvesi, senza differenza di censo, si contrastinguettero per la generosa ospitalità nei confronti dei profughi, “poveri Cristi” scappati dalla guerra che stava distruggendo i loro paesi e che stava cambiando per sempre il destino del mondo intero.
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Si ringrazia il sig. Camillo Pavan per la gentile concessione della pubblicazione dei testi.http://camillopavan.blogspot.it/
Le foto sono tutte tratte da cartoline d’epoca.