Quando si dice i corsi e ricorsi storici. Ho cominciato a lavorare in Comunicazione tanti anni fa, a Bari, e uno dei primi clienti (l’unico di Ruvo) è stato… Grifo.
La sua comunicazione mi prese all’istante per ovvi motivi e feci una serie di osservazioni che interessarono molto i responsabili d’agenzia, ma fui quasi subito chiamato a Milano e tutto rimase a metà.
Quasi trent’anni dopo, la comunicazione Grifo non è cambiata un granché. E le osservazioni di un tempo – che per ovvie ragioni non posso ripetere qui in pubblico – sono rimaste attuali.
Perciò, più che corsi e ricorsi, si dovrebbe parlare da noi di immobilità del tempo. Finora, almeno.
Penso queste cose in un lampo, mentre l’instancabile Ravasio mi mostra la nuova strategia di comunicazione.
Lo sdoppiamento
Il sito è stato riattivato, ma (parole mie, non sue) rimane così così. Ad essere generosi. Una vetrina un po’ cupa, per nulla interattiva, dal concept traballante e piuttosto outfitting. D’altra parte, in Italia, il concept, la parte più difficile e vitale della comunicazione, è la terra più devastata. E le conseguenze si vedono…
Uno stand Crifo |
Niente ecommerce. “Magari tra dieci anni. Ora è troppo presto. Non è uno sbocco sufficiente per noi, e i costi, soprattutto logistici, di un e-commerce in proprio, sconsigliano l’azione. Stiamo sondando siti specializzati per valutare possibili collaborazioni.“
Sembra un po’ strano, nell’era di Amazon e di Ebay. Ma non sta a noi fare queste valutazioni aziendali.
Si preferiscono gli strumenti tradizionali, gli incontri, le fiere, gli accordi di persona, le conoscenze.
“Qui tutti i giorni è un viavai internazionale“, racconta Ravasio.
Il marchio invece è stato sdoppiato. Il Grifo non è più logo unico.
Ma nonostante la pomposità della nuova brochure dedicata ai vini di fascia medio-alta, con una carta patinata che non sfigurerebbe nella presentazione di una collezione Armani, il contesto rimane freddo e poco coinvolgente.
Il concept è lo stesso del sito. Inutile insistere…
I vini, dicevamo.
Intanto il Grifo è volato via dai vini di fascia bassa, che avranno solo il marchio Crifo-cantina. In realtà più che un altro marchio, sembra una cornice senza logo. O in attesa.
Chiedo chi l’ha fatto, visto che non vedo più il loghetto/firma della vecchia agenzia barese.
“Un’agenzia di Milano”. Un tempo questo spiegava tutto. Poi internet ha cambiato tutto. Ma questa è un’altra storia. O forse la stessa.
uno spot Crifo
Another brick in the wall
I poveri brick saranno dunque venduti senza Grifo. Inevitabile, e andava fatto prima – concorda Ravasio.
Se il gruppo Fiat vendesse le Ferrari con lo stesso marchio, ne azzererebbe il valore aggiunto. Lascerebbe per strada la cosa che rende di più: non il prodotto, ma il mito. L’immagine.
Lo stesso vale per ogni azienda, vino compreso. Anche per Grifo. Solo che qui l’immagine, oggi appannata, è da ricostruire. Il mito, tutto da costruire. Ci vogliono storytellers all’altezza. Il passato non lo è stato. Speriamo nel futuro.
Ma senza entrare nello specifico tecnico (non è questa la sede), senza dubbio la scelta di scindere il marchio è il presupposto giusto. La sensazione è che sia ancora una scelta monca, largamente da perfezionare. Speriamo nel verso giusto.
E tuttavia, salva il Grifo? Salva almeno i vini di fascia alta?
A meno di un euro
Ravasio ne è certo. O perlomeno è fiducioso.
Perché il nuovo brick degrifizzato potrebbe essere svenduto anche sotto l’euro, per assestarsi prevedibilmente, a regime, sopra l’1,29, si augura il Direttore.
Per un prodotto da scaffale e che ha la maledizione di uscire in una scatola anziché in una bottiglia, concordiamo che è la fascia ragionevole di prezzo. Se ce ne è una, per un prodotto che personalmente, in brick, cioè in una scatola tipo latte, non comprerei mai, di nessuna marca, a nessun prezzo. Neanche gratis.
Credo che il cedimento al brick sia stato un errore strategico grave per i produttori di vino, specie per quelli che, come Grifo, avevano un prodotto di base molto buono (la famosa damigiana).
Un errore mondiale, che va ben oltre il nostro caso, e che si spiega solo con la finanziarizzazione dell’economia. Con il ridurre tutto a profitto immediato, anche se significa distruggere identità (e quindi futuro, consumo nel tempo e di qualità). E senza ancora aver detto una parola sull’ambiente.
Ma, in sintesi, nel duello mondiale tra vino e birra, col vino nella scomoda posizione del nobile decaduto che insegue i ricchi parvenus – avete mai visto una birra venduta in pacco al supermarket?
Altri livelli del problema. Torniamo a noi.
La rivincita dei medi
Poi ci sono i prodotti di livello medio, in bottiglia, destinati a una fascia di prezzo tra 3,99 e 4,99 euro.
“Una fascia in cui, Le assicuro, in Italia si beve benissimo“, mi conforta Ravasio.
Insomma, questi vini di fascia media partono per sfidare i campioni. Quelli che fanno il fatturato. Senza paura, col nuovo restyling delle bottiglie, ora più sobrie ed elegantucce. Ma sempre, se posso permettermi, un po’ fredde. Senza il tocco risolutivo che non viene mai dai grafici, ma appunto dal concept.
Se in Italia intorno ai 5 euro “si beve benissimo”, l’espressione del DG è inequivocabile: ci faremo spazio con la nostra qualità.
Prosit.
Neri di Troia, a noi
E infine la fascia alta. Quella dell’Augustale, per intenderci. Anche questa restylizzata con lo stesso feeling minimalista, destinata a sfidare la concorrenza più o meno blasonata nella fascia dei 10 euro, grazie alla magia del Nero di Troia, il vitigno su cui Grifo punta tutto – e su questo, come dargli torto?
“Il mercato finora ha chiesto Negramaro e Primitivo, in questa fascia. Ma la moda sta passando e ci sono spazi importanti per il nostro Nero di Troia.”
Concordo. A me per esempio piace molto di più.
“Certo, siamo lontani da certi vini (ometto il nome per pudore, ndr) da 100 euro e oltre, per non parlare degli (sempre omissis…;) da più di 1.000 euro a bottiglia…”
100 e 1000 euro a bottiglia? Neanche ci fosse dentro l’elisir di eterna giovinezza… Follie del così detto mercato, dove l’incrociarsi di furbi e allocchi, di ricchi senza identità e leggende identitarie senza sostanza, produce effetti folli (e furbi) sui prezzi…
Io, per fortuna, la maggior parte delle volte bevo acqua. 😉
Ma mi ricordo ancora delle famose damigiane da 5 litri che da ragazzino andavo a comprare per casa. Dentro c’era un nettare che a quel tempo mi faceva orrore, come a tutti in quella età, ma che il direttore dell’agenzia barese, anni dopo, mi presentò così: “mi chiedo come facciano a vendere in damigiana un vino doc così, che andrebbe semmai imbottigliato“.
Sottinteso, “vendere in damigiana” stava (e sta) ovviamente per “vendere a prezzo basso, popolare”.
Ecco. Da quel tempo tante cose sono cambiate, non solo nel packaging. Più in peggio. La diversificazione delle linee di prodotto è ancora in corso. La concorrenza spietata. Il mercato in contrazione. Gli aiuti statali finiti da un pezzo.
E, soprattutto, gran parte di quel vino prodigioso è finito in brick, affossando il marchio nel tentativo di espanderne il mercato.
Spumante
Ravasio mi mostra le linee di produzione e imbottigliamento. Vecchia e nuova cantina.
Mi parla con una punta di orgoglio del nuovo impianto di spumantizzazione, che consentirà a Crifo di avere il controllo su quest’altro processo, finora affidato a terzi.
Si scusa ogni minuto per il disordine. A me, dato il contesto, e a parte il colpo al cuore del depuratore, sembra tutto piuttosto pulito e a posto.
Insomma nonostante tutto la Cantina investe. Coi creditori dietro alla porta, ma non si da per vinta, e fa bene.
Un caso emblematico
Un’azienda dal lungo, ma non lunghissimo passato. Non un’antica casa secolare né una startup usa-e-getta. Con la sua storia sostanziosa e il suo marchio che può diventare prezioso.
Nata e cresciuta nell’era del boom, sulla base di solide esperienze contadine e sull’onda dell’espansione del “pubblico” (con quel che significa alla fine della giostra: soldi in cambio di voti).
Un residuato del Secondo Millennio che avrebbe potuto chiudere come tante altre cantine cooperative, nate come e con lei.
Che in più si è trovata sul groppone un investimento sfortunato (il modo più dolce per dire sbagliato, perché sul mercato la previsione del futuro non è un optional, e nessun errore viene perdonato) sulla nuova cantina..
Ma è ancora lì.
Ci sono tutte le premesse perché venga svenduta per un tozzo di pane allo Zonin di turno (il nome è a caso e ne rappresenta tanti altri), così che il buono che è rimasto da quella damigiana mitica, ed ancora vive, ed ancora lotta per il suo spazio vitale, vada a rendere appena meno diluito un qualunque prodotto industriale di massa.
E questo è certamente il suo destino, o peggio, se sarà lasciata andare.
Un destino comune
Oppure si può immaginare che la Città si schieri a difesa di questo pezzo del suo patrimonio reale e virtuale, di questo pezzo di identità.
Che la Cantina si apra, e che la Città si interessi – che si trovi il modo – riconoscendole un valore pratico e simbolico non banale, ma alto, come è.
Sun Tzu, che era un grande condottiero e teorico della guerra, ha scritto che se si cade in un’insidia non si può pensare di uscirne senza perdite. A qualcosa si deve rinunciare, se non si vuole perdere tutto.
La Cantina e la Città, o più in generale la Città e l’Impresa, sono entrambe nel pericolo. E non solo loro. Per vincere, devono aprirsi la strada l’una verso l’altra. Riunendo le forze si rafforzeranno. Rimanendo divise saranno travolte entrambe.
La salvezza è impossibile se ognuno ha la pretesa di stare fermo e di aspettare che siano gli altri a risolvere il problema e “liberarlo”.
La finale mondiale
Per nella sua piccolezza demografica, Ruvo ha ben due cantine cooperative. Probabilmente sarebbe il caso di immaginare delle sinergie, se non una fusione. Soprattutto nel mercato dei vini sfusi, la dimensione conta, come ci insegna la Spagna – perché permette di ridurre i costi unitari di produzione.
Il mercato non perdona le divisioni. E non ama le piccole dimensioni, a meno che non abbiano produzioni di nicchia estremamente caratterizzate, al alto valore aggiunto di qualità. E di immagine, perché oggi più che mai l’immagine fa parte della qualità.
Il discorso, come abbiamo detto, è più generale. Cittadino e non solo. Italiano, europeo, mondiale. Siamo al passaggio di un’epoca, e tutti siamo in mezzo al guado, in ogni settore e ad ogni livello.
Vale ovviamente anche per Grifo. Tra vecchio e nuovo mondo, tra tradizione e globalizzazione, tra cultura contadina e marketing digitale.
Non si tratta di scegliere, ma di trovare il mix giusto, il punto di equilibrio vincente.
È questa oggi la sfida del Grifo. E non solo.
Scavarsi una nicchia importante di esclusività, con una comunicazione che non faccia più errori, strategie adeguate di vendita e marketing, ma anche di sviluppo del prodotto. Per cogliere le sfide di un Millennio che si annuncia rivoluzionario. Aprendo al biologico, senza dubbio il trend da tenere d’occhio e su cui investire.
Oppure procedere per fusioni e acquisizioni (trovando i capitali) fino a raggiungere una massa critica sufficiente a reggere le economie di scala del prodotto industriale.
Un bivio non da poco. Ma definitivo.
Ci vuole una visione strategica chiara, coraggio, determinazione, una strategia all’altezza e la piena consapevolezza che si sta giocando non una partita di periferia, ma la finale mondiale tra vecchio e nuovo mondo, nella società polverizzata digitale dove non c’è più centro né periferia, ed ogni singola sfida diventa esempio o ammonimento, fallimento o guida per lo sviluppo (o la crisi) globale.
È una corsa contro il tempo, con la realtà che urge, le banche che premono, la concorrenza che incalza.
Ma è nelle grandi sfide che si vede il carattere.
La sfida del Grifo è la sfida della Città, con cui per così gran parte di identifica. Ma è anche la sfida del territorio, delle sue eccellenze minacciate. È la sfida del Paese, dell’Europa, di chi ha guidato il mondo e oggi arranca, a cavallo di un mondo tutto nuovo in cui dovrà ritrovare le ragioni della leadership o cedere il passo dopo millenni.
È qui, in questo enorme campo mondiale, che il Grifo combatte la sua ultima battaglia. “Con tutto il mondo contro” come ha detto Ravasio.
È nell’interesse di tutti che la vinca. Che il Grifo torni a volare.
Dice Sun Tzu che il più grande condottiero è colui che vince senza combattere.
Giusto. Bisogna riuscire a vincere con un prosit.
3. Fine
Leggi la prima parte. LE ALI DEL GRIFO. IL GRIFO FERITO
Leggi la seconda parte. LE ALI DEL GRIFO. IL GRIFO LOTTA SOLO