L’autorevole e lucida analisi di Biagio Pellegrini
Dalla rivoluzione napoletana alle vicende cittadine
I suggerimenti della storia
Durante i moti carbonari del 1820 il re Ferdinando I di Borbone chiamò Pietro Colletta a far parte del suo consiglio del Regno per gestire con diplomazia la delicata situazione. Quando fu sancita la Costituzione, lo nominò generale e lo inviò a sottomettere i separatisti in Sicilia, compito che il Colletta assolse con grande fermezza.
Conclusa la sua carriera militare da generale si trasformò in storico della repubblica partenopea per raccontare la “Storia del reame di Napoli dal 1734 al 1825”. Nella sua ricostruzione della confusa situazione politica e militare che si determinò nelle vicende dei moti carbonari, mise in grande evidenza gli intrecci che si celavano nella richiesta della Costituzione e la strana coincidenza dell’invocazione della promulgazione della carta da parte di classi e categorie del tutto diverse e con pretese contrastanti.
Da una parte c’erano in campo le studiate strategie del sovrano che non opponeva grandi resistenze per controllare i moti e dall’altra parte gli equivoci che si nascondevano nei militari e nel popolo dietro la richiesta di “Costituzione”. Tanta confusione da sovvertire ogni ordine ed ogni malefatta a tutti nota.
Ed ecco il commento del Colletta: “… di tante colpe non il castigo, ma il trionfo. Grande confusione di milizie, di cittadini, carbonari e sostenitori che gridavano evviva la Costituzione; … tanti saluti di onore, confusi insieme si mutavano in suono festante… una brigata che non era né militare né guerriera né veramente civile, bensì ebbra festosa.”
Ed è così che un vento di speranza diventò all’improvviso magico strumento di acritica condivisione. Un nome, la Costituzione, da ognuno percepito come certezza di realizzazione dei propri desideri, dei propri progetti, dei propri interessi, delle vendette tanto attese.
Qualcosa di simile stiamo registrando oggi nel nostro piccolo scenario amministrativo. Non si tratta di un documento ma di un nome. Un volto pulito, una capacità di intuizione e di sicura analisi tecnico-giuridica, sembra poter essere invocato per far dimenticare la confusione delle lingue, i più evidenti opportunismi, i tanti compromessi inconfessati.
Come fidarsi del PD ruvese dopo l’esito dell’ultima amministrazione?
Un sindaco uscente che ha offerto il suo nome per nascondere i reali interessi e conflitti che laceravano i componenti del Consiglio e della Giunta, senza una reale opposizione che fosse orientata a denunciare gli errori e gli abusi che si andavano prospettando.
Un sindaco che sembrava disposto a prendere ordini da chi gli era stato messo accanto e non riusciva a dissociarsi da possibili complicità; e tuttavia cercava di rassicurare i cittadini sulla correttezza delle scelte e sull’assenza di interessi diversi da quelli della cittadinanza.
Chi sa quanti hanno creduto a queste rassicuranti dichiarazioni. Ora questo volto non serve più e si è deciso renzianamente di rottamarlo, liquidandolo con elogi, attestazioni di stima e smaglianti sorrisi. Che bella cosa!
Nel contempo si è ufficializzato il risultato della lunga ricerca e corteggiamento di un altro simbolo, un candidato di elevato livello culturale e di provata intelligenza, capace di togliere le castagne dal fuoco.
Nessun dubbio sulla personalità e le capacità di Pasquale Chieco; più di uno sulla sua scelta di prestarsi alla politica amministrativa in questo contesto locale così condizionato da intrighi, aspirazioni personali, ipoteche ed astuti condizionamenti.
Come mettere insieme istanze contrastanti e terribili conflitti? Ma veramente si può credere ad una improvvisa conversione delle persone che affiancheranno il nuovo sindaco, mettendo da parte le prassi e le scelte clientelari e distogliendo gli occhi dai grandi interessi privati?
O qualcuno crede che si lascerà operare il futuro primo cittadino in piena autonomia e con l’attuazione di un suo programma, diverso dai desiderata dei gruppi di sostegno?
Delle due l’una: o ci sarà subito una rottura, o si continuerà come si è sempre fatto, con i conflitti di interessi, gli uffici addomesticati, le pressioni per far passare squallide delibere, con l’etichetta “nel supremo interesse della popolazione ruvese”. Sarà molto dura, se non fallimentare, resistere alla ingordigia di qualche volpone ed alle lusinghe ammalianti di alcune sirene.
Certo non mancheranno le promesse elettorali, i discorsi rassicuranti, i programmi copiati dal migliore archivio dei buoni propositi, le dichiarazioni di fedeltà agli impegni presi con i cittadini, ma questi dureranno fino alla espressione del voto. Dopo sarà un’altra storia, al di là delle sincere e convinte promesse del candidato.
Il neo sindaco sarà prima corteggiato, poi consigliato, successivamente invitato, poi costretto, se non minacciato o ricattato.
Nella eventualità di una resa, si ripeterà il consumato cliché dei compromessi, degli accordi di corridoio, delle decisioni assunte nelle segreterie o nei bar riservati, della solita amministrazione clientelare e familiare; nell’altra eventualità della resistenza a tutte le lusinghe e pressioni si para la inevitabile prospettiva del ritorno alle urne.
Del resto immaginare che le logiche di partito possano effettivamente favorire le scelte locali di amministrazioni scevre da condizionamenti esterni è pura follia. L’intreccio di pressioni, condizionamenti e dipendenze saranno i legacci che imbriglieranno le scelte locali.
Pare invece possibile che siano solo i movimenti locali e le liste civiche la vera soluzione di una gestione attenta alle esigenze della cittadinanza. La storia di questi ultimi anni ha dimostrato che molte scelte erano suggerite da sedi centrali più o meno distanti, portatrici di interessi non sempre in linea con le reali esigenze locali, magari con scambi di favori coerenti con la rete di relazioni da tempo intessute e consolidate.
La rottura con il passato e con le pratiche amministrative codificate dentro e fuori il Comune richiede una svolta che possa significare totale rinnovamento, che allo stato attuale sembra lontano a venire.
Bisogna ancora attendere. Quando ci sarà all’orizzonte qualcuno disposto a prendere sul serio ciò che annuncia Papa Francesco: “No a sete di guadagno, favoritismi e disonestà”.