Sei sempre lì per documentare il Bucherellum, noti e ti fanno notare un mucchio di altre cose; rifletti, selezioni. E poi la vedi. Dico: la “vedi“.
La vedi davvero. Dopo averla vista tante volte senza farci caso. Lei, la sentinella sul niente. Impalata e sull’attenti come un bravo soldato.
Piena di cartelli come decorazioni sul petto di un generale. Il display muto. L’occhio elettronico voltato all’indietro a sgamare i trasgressori che non possono trasgredire, perché non possono passare. Tutto spento. Ovviamente. Rigorosamente. Surrealmente.
È il varco verso il centro storico. Una delle mille corbellerie della tragicomica amministrazione precedente.
Ma questa è proprio particolare. Degna dell’orrore calcareo su cui è piantata. E altrettanto figlia di un cupio dissolvi, di un’immemore ma tronfia ottusità, di un seguire allegramente la scia anche se porta al precipizio, di una necessità di accettazione del malgoverno, di ogni porcheria che “venga dall’alto” con un po’ di soldi – il complesso di inferiorità fattosi “forza di governo”.
Una storia lunga. Che come tutte le storie improvvisate lascia dei figli abbandonati e allo sbando.
Ecco perché la sentinella di ferro fa tanta tenerezza. Perché se ne percepisce l’abbandono, l’innocenza, la sofferenza, l’essere vittima senza colpa.
Potevano piantarla in qualunque punto della Città o della provincia. E invece no. Proprio lì.
Nel posto che non c’è. Ad aspettare clienti che non verranno. A mostrare display che non si accenderanno.
Un varco verso il nulla. Perché chi mai userà quel varco per passare, regolarmente o meno, non essendoci una strada di accesso al centro storico?
Né sopra né sotto la Piazza. Né a nord né a Sud.
C’è il palo decorato. Ma il varco non c’è. Nessuna strada. C’è solo la sentinella inanimata.
Come è possibile?
Eppure è così. Dietro quel “varco”, il nulla.
La spiegazione probabilmente è semplice. Questa fissa dei varchi è molto più vecchia della scellerata ripavimentazione, della “riqualificazione” piovuta improvvisamente e oscuramente dall’alto (absit iniuria verbis).
Del progettaccio infame senza firma e senza padre, così brutto e sgorbioso da non essere in grado di reggere il benché minimo concorso di idee e quindi da dover essere imposto d’imperio. Pena le perdita dei trenta denari con cui si è svenduta l’anima della Città.
Insomma il piano dei varchi dev’essere stato fatto quando lì c’era una strada, la strada di accesso al centro che tutti ricordiamo benissimo, dal Redentore a Brucoli e da lì a sinistra a salire o dritto per via Modesti o a destra per Comune, edicola storica e via Vittorio Veneto, o via Schiavi verso sud o ritornare verso est per via Corato.
Una viabilità perfetta, ormai entrata nel dna ruvese.
Poi qualcuno ha lanciato il “bendiddio“, il solito sacco di becchime, ed ecco che tutto il pollaio si è buttato a cercare di beccarne una parte. La solita storia. La solita maledetta ottusa storia.
E così, mentre violentavano Piazza, Storia e Democrazia si sono dimenticati di tutto il resto.
Hanno ucciso e tappato tutto con una colata di cemento, seppellita a sua volta da una colata di insignificanti chianche calcaree in modo da essere sicuri che fosse tutto morto.
Lapidi su una Storia gloriosa, seppellita colpevolmente, nell’ignoranza, nell’illegittimità e nel disonore. In nome del solo becchime.
E infine, a misfatto compiuto e acciarpato, quando la sentinella di cui si erano dimenticati è arrivata, l’hanno tranquillamente piazzata dove era prevista. Proprio su quella gigantesca lapide che chiude e blocca il centro storico. Al centro del nulla.
Chapeau.