Nonostante sia ancora giovanissima, nonché moglie e madre – con tutto il carico che ciò comporta – l’architetto Lidia Sivo ha già trovato il tempo e il modo di diventare uno dei professionisti più apprezzati in Città.
Ma, ancora più stupefacente per chi scrive (alle “normali” prodezze delle donne e mamme ormai siamo abituati), ha trovato anche il tempo di diventare uno dei ricercatori di riferimento della nostra troppo negletta storia patria.
Una cannoniera |
Così col suo precedente lavoro ci ha raccontato e ha riportato in vita, almeno nella memoria, un convento che non c’è più, nella omonima piazza ancor oggi detta (altrimenti incomprensibilmente) delle Monache – con le loro storie spesso tragiche, quasi sempre tristi, senza dubbio meritevoli di ulteriore racconto.
Gli storici del futuro troveranno perciò certamente il suo nome, accanto a Lojodice, a Stragapede o a Chieco (lo storico, non il sindaco…;) e così via.
Ma con il nuovo lavoro rischia addirittura di conquistarsi un posto in prima fila, accanto agli Jatta e ai Fenicia.
Grazie al suo sforzo torneranno a rivivere nientemeno che le mura tardomedievali e moderne, con i torrioni, le torri, le porte e portelle, la megatorre della Piazza Castello, chiese scomparse e i mille altri pezzi di una Storia cui non facciamo caso, ma che è ancora viva e chiede solo di essere ascoltata.
L’arch. Lidia Sivo |
Quasi uno Jatta in gonnella, che riprenda l’analisi da dove lui l’aveva lasciata, dallo stupore del bambino che osserva i resti maestosi di quello che fu il principale baluardo della Città.
Ho passato quasi due ore con l’architetto Sivo in giro per la Città a farmi spiegare ciò che ha scoperto.
Il piglio è come sempre deciso. Competente. Preparato. Appassionato. Un torrente in piena. Ore e ore di studio che vorrebbero finalmente uscire tutte insieme e che invece vengono padroneggiate, controllate e offerte con proprietà e partecipazione.
Insieme l’occhio dell’architetto e l’occhio della Storia.
Una lunga passeggiata nella mattina frizzante da Piazza Castello intorno agli accessi segreti, oltre la Scarpetta e verso Porta di Sarra o Porta Nuova, all’arco che conduce al quartiere Moresco, sul fossato e per le strade del Capitolo, sulle chiese scomparse, sui resti delle mura violentate o inglobate in proprietà private, come i torrioni aragonesi (e lo stesso castello).
Fino alla porta Sud, del Buccettolo, e ritorno nella Piazza desolata dove aleggia ancora per chi ha occhi l’ombra del gigante e del suo Rivellino, delle sue cisterne, delle cannonate e delle grida di battaglia, delle avventure picaresche nel sottosuolo, del suo cavallo e cavaliere di bronzo (o d’oro) e di mille altri misteri a pochi palmi di profondità dal vuoto di memoria del tetro lastricato.
Di che sto parlando? Che lingua è? Di che Città si tratta?
Niente di meglio che andare ad ascoltarlo di persona, domani, a Palazzo Caputi, dalle 18 alle 20.
Ruvesi si diventa.
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