Il caso del dipendente comunale che osa criticare i risultati della pubblica amministrazione e che perciò viene punito e sanzionato – forse per dare l’esempio – è un caso emblematico dell’attuale situazione di impasse della politica cittadina.
Il fatto risale alla nevicata di inizio anno: il dipendente critica – come tanti, compreso chi scrive – l’efficienza della macchina pubblica nella gestione dell’ennesima “emergenza”. Ma solo lui viene sanzionato, in ragione della qualifica di dipendente comunale.
Ma c’è di più. Dovendo “spiegare” la sanzione, l’assessore al ramo ha fatto notare che la sanzione stessa poteva essere molto più grave e che era stata ridotta in ragione del fatto che il dipendente aveva riconosciuto l’errore e chiesto scusa.
Insomma, “potevamo essere più cattivi”. Il dipendente dica grazie. Una specie di pubblica gogna che si aggiunge alla sanzione stessa e la moltiplica.
Ora non entriamo nell’aspetto del diritto – per il quale però così ad occhio mi pare che la necessità di autotutela dell’amministrazione (che però mai e poi mai può essere messa sul piano di un’azienda privata) e la libertà di pensiero, di espressione di critica garantite dalla Costituzione confliggano apertamente.
E quando c’è conflitto tra una qualunque legge ordinaria e la Costituzione tutti sanno quale prevalga.
Il che è tanto più ovvio in quanto le critiche del dipendente, essendo volte a sottolineare l’esigenza di una migliore qualità dell’azione pubblica – sono esse stesse critiche funzionali al miglioramento della prestazione pubblica e quindi in generale sono da considerarsi di interesse pubblico.
Sarebbe giuridicamente controproducente assimilare brutalmente un’azienda privata all’azienda pubblica per eccellenza che è il Comune, il cui fine non è il profitto o preservare gli interessi o i segreti aziendali ma garantire il miglior livello possibile di benessere all’intera comunità.
Ma ancora nulla rispetto al disastro sul piano politico.
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