In tutti i fatti gravi di cronaca nera c’è sempre un dettaglio caldo, non legato cioè al freddo rebus da risolvere (l’assassino da scoprire, il covo da trovare), ma che fa sangue, fa emozione, coinvolge.
Il morto ammazzato è quasi sempre a un passo dalla pensione. Se è giovane, stava per sposarsi. Se è più maturo, ha figli o la moglie incinta. E così via. Sembra quasi che Dio abbia il senso drammaturgico. Non ti fa quasi ammazzare, se l’assassinio non aumenta il climax.
O forse è solo l’infinita e trita fantasia
hollywoodiana, andata in onda tante volte, sugli schermi delle nostre menti, da confondersi con la realtà. O magari un format delle famigerate scuole di giornalismo all’italiana. Chissà.
Anche nella tragedia di Pino quel dettaglio c’è: il più grande dei suoi figlioletti era appena andato a casa, con la mamma, per un imprevisto. Si era bagnato e la mamma, che rimaneva sempre col marito alla chiusura, lo ha portato via. Una di quelle cose banali che succedono in ogni famiglia con bimbi piccoli.
Ci si dice ciao con naturalezza, e si va a casa tranquilli. Per non rivedersi più.
Sembra confermato che dentro non ci fosse nessun cliente, come abbiamo scritto – anche se abbiamo letto di tutto e il contrario di tutto. Ma qualcuno del vicinato pare abbia visto gli stessi individui aggirarsi intorno all’altra salumeria, alle spalle di quella di Pino. Poi lasciata perdere forse proprio perché c’era gente. Mentre Pino era solo (per un caso: ma chi può davvero distinguere tra caso e destino?).
Voce attendibile? Suggestione? Fantasia romanzesca inespressa? Chissà.
Certo, se non ci fosse di mezzo una tragedia terribile, farebbe un po’ ridere questa banda delle salumerie. Questo accrocchio di pasticcioni che mollano un bersaglio per un altro (cioè che colpiscono a casaccio). Quasi che stessero scegliendo dove farsi un panino.
Questa banda di imbranati che (stando sempre a voci non confermate e incontrollabili) viene presa da Pino a barattolate di pelati, che si fa sfilare uno o forse due passamontagna (o calzemaglia, o calze di nylon o qualunque cosa fosse a seconda della versione che si ascolta o si legge), che lascia una pistola sul posto, forse una scacciacani modificata talmente male che si è rotta, smontata, tra le mani di chi la usava.
Emuli di Fantozzi che scappano col registratore di cassa perché non sono riusciti, in 4 e con due pistole, ad essere abbastanza credibili da farsi consegnare l’incasso da un uomo solo (e senza fare fisicamente male a nessuno). Che corrono per duecento metri scarsi riuscendo a farsi intercettare da una pattuglia di trafelati vigili urbani.
Che raggiungono fortunosamente l’auto saggiamente parcheggiata… dove? Vicino alla pizzeria Lo Scugnizzo, di fronte alla chiesa del Purgatorio. Davvero: il peggior posto della città per parcheggiare, specie dovendo poi scappare. Lo garantisco, avendo avuto per due anni l’ufficio proprio sopra quella pizzeria.
Ma non è ancora tutto. Perché pare che l’auto non andasse in moto e sono dovuti partire a spinta.
Una saga continua: il fuoco d’artificio delle voci. Sarebbe persino divertente. Se non fosse per quel maledetto pezzetto di piombo calibro 7.62 che ha penetrato il cranio di un povero cristo, alla fine di una lunga giornata di lavoro, entrando dalla nuca e uscendo dallo zigomo.
Perché questa invece non è una voce. Non è l’epopea ridanciana della Banda Bassotti che sentiamo raccontare dal brusìo sconvolto e incontrollato della città, come un urlo multiplo lanciato perché tutto è meglio del silenzio e del non sapere. Questa purtroppo è la realtà. Il corpo di Pino e la sua salumeria chiusa e inondata di fiori. Il nocciolo duro dell’irreparabile.
E proprio quella pista dell’imbranatezza abbiamo voluto seguire, insieme al dettaglio della (pare, certa) giovane età degli autori del crimine. Attirandoci un coro di consensi e qualche critica per supposta ingenuità.
Può essere. Non lo escludiamo affatto. Ma abbiamo pensato che, tra mille e più possibilità, ce n’è forse una: che si tratti davvero di ragazzi alla prima bravata. Sbandati e protagonisti di un crimine orrendo. Ma a cui, senza false tenerezze, senza facili perdoni, e previa giusta pena, si può ancora tendere una mano, prendendoci la nostra parte di responsabilità, come società.
Perché le responsabilità sono sicuramente individuali, e nessuno le può togliere. Noi stessi diffidiamo profondamente del perdonismo. Perché il perdono senza comprensione (senza che chi ha sbagliato abbia potuto rendersi conto di ciò che ha commesso) è solo un’autorizzazione a sbagliare ancora. No, la vita è di più. Non bastano un po’ di pater e avemaria. Non per ottenere il perdono più difficile: il proprio.
Le responsabilità sono individuali. Ma la società non è immune. Non è senza colpa. Nessuno è senza colpa. Nessuno, come è stato detto, può scagliare la prima pietra.
E allora abbiamo cercato di prendere su di noi la nostra parte di croce. Abbiamo pensato a quattro ragazzi smarriti e schiacciati dall’enormità imprevista (ma comunque colpevole) del loro gesto. Abbiamo pensato a qualche genitore che forse ha capito. E che ora vive nel dramma.
Nell’alternativa impossibile tra consegnare il proprio figlio alla giustizia (quella umana, con la minuscola, con i suoi mille difetti) o aiutarlo a conservare una libertà piena di rimorso, un calvario infinito ma che pure non lo allontanerebbe forse dalla famiglia che ancora ha la fortuna di avere. A differenza di quei due bimbi, cui ne hanno tolta una parte così importante.
Forse sbagliamo e quel filo non c’è. Forse non si tratta di adolescenti allo sboccio ma di anime perdute e criminali incalliti. Chissà.
Ma se l’intuito – pur nella cieca mancanza di appigli – non ci ha ingannato. Se un solo sottilissimo filo esiste, noi pensiamo sia dovere di tutti non spezzarlo, e tirarlo anzi con la massima delicatezza, per riuscire a comunicare con chi è dall’altra parte. Se davvero da qualche parte c’è un padre in preda al tormento. O una madre. A loro, da genitori a genitori, vorremmo dare un abbraccio umanamente forte, come quello che diamo alla famiglia del nostro amico Pino.
E chiedergli di considerare con calma, con la generosità del padre o della madre verso il figlio, alla quale non devono affatto rinunciare. Ora meno che mai.
Vi chiediamo, amici e fratelli, di considerare la vera realtà: la vera alternativa.
Che non è tra prigione e libertà.
Ma è tra un duro e lungo cammino di espiazione e redenzione – verso una nuova vita, quando sarà matura e possibile.
Ed una vita fatta di fuga da se stessi, dall’inestinguibile pena interiore. Fino al prossimo colpo. Alla prossima sparatoria. Fino a quando qualcuno più svelto non lo lascerà a terra in un lago di sangue.
Non è questo, di certo, che volete per quel figlio. Ma è così che andrà.
Perciò, padre o madre che tu sia, scegli di volergli bene ancora. Scegli di dargli ancora la vita. Accompagnalo. Il cammino dovrà farlo da solo. Ma, a quella porta, è meglio arrivarci in due. O in tre.
La vera alternativa
mario albrizio