progetto di ampliamento del Tedone |
Sono quasi le quattro meno un quarto del pomeriggio e squilla il cellulare nell’altra stanza. Non faccio in tempo a rispondere. Guardo il display: un numero urbano.
Non ho il tempo neanche di chiedermi chi possa essere, che richiama.
E’ Biagio Pellegrini, il Preside del Liceo Scientifico “Tedone”. (Sì, dico Preside, perché “Dirigente scolastico” è un’etichetta di una tale banalità… che descrive da sola l’incapacità politica, didattica e programmatica degli inetti e gattopardeschi ministri della pubblica istruzione degli ultimi decenni.)
Vuole ringraziarmi per la chiara presa di posizione di ieri. “Hai centrato il problema – mi dice. E sei l’unico che ha avuto il coraggio di dire, e soprattutto di scrivere, a sostegno di chi si trova indagato dopo aver dedicato la vita al Liceo.”
Lo rassicuro di non aver creduto neanche per un attimo al quadro che emerge dalla lettura della stampa, cartacea e web. Anche se, ovviamente, come cittadino, sono sconcertato e interdetto perché o devo pensare che nella suola più “sacra” della città si faccia baldoria, oppure che il pubblico ministero lavori troppo di fantasia – e tra le due non saprei qual è la peggiore.
Non si può dare neanche la colpa, come d’uso, ai “giornalisti”, perché non è pervenuta alcuna smentita alle ricostruzioni fatte circolare praticamente da ogni sito web.
Ma queste sono cose che penso mentre ascolto Biagio Pellegrini descrivere l’atmosfera velenosa creatasi immediatamente intorno a lui. Gli sguardi, i “sorrisini”, le condanne non dette, ma già definitive e inappellabili prima ancora del processo.
“Ho solo difeso la scuola. E chi in qualche modo è stato toccato, o richiamato, o non accontentato” oggi si gode la sua vendetta.
La voce resa flebile dall’emozione, a tratti sul punto di rompersi. In quel momento è una voce che gli assomiglia: esile come la sua corporatura. E, gli auguro, altrettanto instancabile.
Ma anche nel momento peggiore il primo pensiero è alla scuola, al Tedone: “non so se avrò la forza di continuare. Non so neanche cosa potrebbe accadere del progetto di ampliamento del Liceo” – a cui sta lavorando da anni.
Gli chiedo se ha voglia di fare dichiarazioni, un’intervista. Dire la sua. Mi risponde con un filo di voce: sono sepolto nella presidenza a preparare gli esami.
E la cosa, ovviamente, non mi stupisce affatto. Lo sentiremo più in là, dopo gli esami, se vorrà.
Ma, anche se non sono sicuro che Biagio approverà, ritengo importante riferire quel breve colloquio perché si abbia ben chiaro che dietro alle cariche, ai ruoli, persino alle (eventuali) responsabilità, ci sono degli esseri umani, sensibili, e che soffrono non solo in caso di condanna, ma anche, e forse più, in tutta la via crucis – che per Biagio Pellegrini e gli altri è appena iniziata.
Ne ho ulteriore conferma – se ce ne fosse bisogno – quando più tardi nello stesso pomeriggio “aggancio” su Facebook un altro degli “indagati”. Un vecchio amico con cui abbiamo condiviso il banco ai tempi del Liceo (Tedone, ovviamente).
Lui non ha neanche un profilo Facebook. Magari non gli va. O forse sta così tanto a scuola, spesso fino a sera, che non avrebbe tempo. Così approfitto e gli mando un messaggio sul profilo della consorte.
Gli faccio gli auguri e gli do il benvenuto nel club degli indagati, cui mi onoro di appartenere per più menzioni…;-)
Dal tono della sua risposta, commossa ed emozionata, capisco fino a che punto è scosso. E mi congratulo con me stesso per non avergli telefonato. Facebook ha attutito l’impatto. E poi dicono che non serve a nulla…
Un altro amico mi dice che tutto si sgonfierà. E siccome di mestiere fa l’investigatore, la cosa ha un certo peso.
Un commento anonimo su un sito, di un tale che ha l’aria di essere un esperto, definisce l’inchiesta “aria fritta”.
Nel tardo pomeriggio un altro amico, anche lui professionalmente esperto, punta il dito in direzione contraria: non è solo aria, e non è fritta.
E infine in serata un altro amico ancora – che non è investigatore né esperto, ma di grande buon senso, scommette che alla fine solo la posizione del Provveditore rimarrà pesante.
Insomma la città ne parla, si schiera, si divide.
E penso anche al prof. Domenico Guastamacchia, la cui denuncia ha dato origine all’inchiesta (a quanto pare andando ben oltre le sue intenzioni).
Anche il suo dev’essere stato un percorso di sofferenza.
Ma queste sofferenze hanno un’origine ben precisa: la vergogna dei Pon come strumento di dominio della Scuola e di coartazione della libertà di insegnamento, costituzionalmente garantita.
La Scuola, libera ma debole e indifesa, è il campo di battaglia del peggio del peggio della politica nazionale e non solo.
E non è un caso che questo scandalo accada qui. A Ruvo di Puglia. Qui dove vent’anni fa un politico capetto clientelare ha proceduto al più efferato dei delitti contro la Scuola e la libertà di insegnamento: lo stupro del Liceo Linguistico.
Quando si dice precorrere i tempi…
Allora la comunità è restata a guardare, compresa la comunità scolastica, di fronte a una tragedia di proporzioni storiche, e dal chiaro e inquietante significato di precedente.
Oggi possiamo misurare scientificamente, al millimetro, quanto il non aver fatto fronte comune contro quello scempio abbia preparato il terreno a questo disastro, speriamo solo mediatico.
Oggi possiamo misurare scientificamente, al millimetro, quanto il non aver fatto fronte comune contro quello scempio abbia preparato il terreno a questo disastro, speriamo solo mediatico.
Oggi uno spettro si aggira per le coscienze cittadine e anche – ci scommetteremmo – in qualche segreteria scolastica. Un sussurrato “gli sta bene”, così imparano a “fare i primi della classe”.
Ma non è così. Non è per niente così. Semmai è vero il contrario.
Vent’anni fa la dura lezione del Linguistico è passata nel silenzio totale, nonostante gli sforzi di chi scrive. Oggi la lezione dello Scientifico DEVE essere compresa – perché l’alternativa è la sua ripetizione in ogni scuola.
Allora, vent’anni fa, un sindaco che doveva piazzare i suoi protetti ha stuprato una Scuola comunale, finendo per distruggerla. Oggi attraverso i Pon e tutto il resto, una classe politica condannata stupra la Scuola italiana per intero.
La stessa barbarie
Maria Stella Gelmini, uno dei tanti ministri incompetenti che hanno massacrato la pubblica istruzione |
La dinamica è la stessa: stessa la barbarie: politici screditati che allungano le manacce dove possono. Fin dove lo consente il loro squallido e ridicolo potere. E’ il caso di reagire con fermezza. Di far incontrare a quelle manacce le manette che gli spettano.
Sulla Scuola, o sull’Università (per baronale e impresentabile che sia), sulla Cultura o sulla Sanità: insomma su tutto ciò che può renderci civili e migliori.
Nell’Università si coltiva l’alleanza scellerata col potere mafioso-baronale, a scapito della qualità e della trasparenza.
Nella Sanità, l’alleanza con la mafia pluto-clientelare degli appalti clientelari compiacenti, delle prestazioni fantasma e così via (salvo poi chiudere gli ospedali tra cui – come stupirsene? – il nostro) – a scapito dei bisogni dei pazienti e del lavoro, spesso eroico, di gran parte dei medici e personale sanitario.
La Scuola? Troppo libera, e troppo numerosi i docenti. Così eccoti uno strumento a suo modo tristemente geniale: i Pon. La carota agitata davanti all’asino. Economico ed efficace. Contro l’esercito della Scuola non si spara. Si buttano palline tra i piedi dei soldati-docenti per farli inciampare. E funziona alla grande.
I docenti farebbero bene a rinunciare a questo osceno becchime e a denunciare il continuo massacro della Scuola, a chiedere investimenti SERI, e una Scuola finalmente in grado di funzionare. Se non ora, quando? Domani sarà già troppo tardi. E non possiamo permettercelo.
Non possiamo aspettare un giorno in più. Il tempo è ora.
Tutto ciò che è civile e ci rende migliori è brutalmente attaccato dalla barbarie degli omuncoli a cui stoltamente abbiamo delegato il governo della nostra società, e quindi di gran parte della nostra vita e di quella dei nostri figli.
Non c’è più un minuto da aspettare. Bisogna fare fronte comune e difendere la Scuola – tutta, in quanto tale. Al di là delle singole responsabilità che, se ci sono, saranno perseguite nelle sedi opportune.
Superiamo l’idea dannosa e controproducente che questo succeda solo ad altri, che a noi non può. O che, al limite, mal comune è mezzo gaudio. Perché non è così, e i proverbi a volte sbagliano.
Mal comune, qui, è male doppio. E può diventare male incurabile.
Bisogna che facciamo nostra la battaglia della Scuola – la fabbrica del futuro. Perché altrimenti non avremo più né scuola né futuro.
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