Io me lo ricordo ancora, quella specie di pellegrinaggio sul sentiero polveroso, in una contrada sconosciuta che molti anni dopo ho scoperto chiamarsi “Belluogo”. Una bella ironia della sorte.
Sono passati trent’anni ma rivedo ancora, tra gli sbuffi di polvere e le sterpaglie secche, le colonne di cittadini di ogni età e condizione che andavano o tornavano.
Da lì. Dal “posto” dove era saltata in aria una fabbrica di fuochi d’artificio. Ruvo di Puglia, gli anni in cui “tutto andava bene”, l’Italia da bere, l’era del boom. Altra tragica ironia, in un Paese in cui saltava di tutto.
Me la ricordo ancora, quella puzza inconfondibile di polvere esplosa, di legno bruciato e di morte. Il silenzio esterrefatto dei grilli e delle cicale. Era caldo anche allora. Ma il cicaleccio sembrava morto con tutto il resto.
La zona dell’esplosione era off limits. Ma non c’era bisogno. Tutt’intorno era tragica testimonianza.
Me la ricordo ancora, quella “cosa” appesa a un albero, e non era un ramo.
Lo vedo ancora nel terreno, quel pezzo di carne bruciacchiata ma dentro ancora così rosso che sembrava vivo.
Se fosse stato un cuore, sono sicuro che avrebbe battuto ancora, ostinatamente, contro ogni logica, come solo i cuori sanno fare.
Oggi è successo ancora, a Modugno. Le immagini sembrano venire dal mio e dal nostro passato.
Fuori, come dentro, tutto è rimasto uguale. A cominciare dalle misure di sicurezza, dai controlli che non ci sono e se ci sono si addolciscono.
I tre figli del titolare – raccontano i giornali – hanno detto “no, grazie, troppo pericoloso“, e si sono salvati cercando un’altra strada, per fortuna o purtroppo, perché non hanno potuto evitare di precipitare in ogni caso nel disastro di famiglie spezzate nel dolore, di attività distrutte.
Avevano una scelta. Ci hanno provato. Non avevano scelta invece i due cingalesi, l’albanese, i quattro italiani – oltre ai sei feriti – che lavoravano freneticamente per le mille feste patronali del periodo, e soprattutto per mantenere la famiglia.
Uccisi dal più prevedibile degli incidenti. Dall’assenza di una Politica degna di questo nome. E diciamolo, dall’assenza di uno Stato, in tutte le sue articolazioni, degno di questo nome.
La stessa fabbrica era saltata nel ’59.
E nonostante tutte le prevedibili precauzioni che l’esperienza avrà loro insegnato, eccoci di nuovo. E nel mezzo in questo oceano di anni, Ruvo e i tanti episodi analoghi.
Un puntellarsi di massacri.
Un quadro devastato in cui anziché intervenire sui problemi della sicurezza noti a tutti, si invitano le sei migliori aziende nazionali a una gara da 100mila euro a Roma. Si lavorava anche per quello, a Modugno. E chissà che non ci sia un nesso.
Erano tra i sei “migliori” d’Italia, non gli ultimi arrivati inesperti, le vittime di Modugno.
Il nesso c’è però, senz’altro, con una politica cialtrona, con sindacati troppo spesso inermi o conniventi, con una società rassegnata e schiacciata nel particulare – con uno Stato che invece di spendere in sicurezza, e imporre e far rispettare standard rigorosi, consente a botte di 100mila euro “gare” tra morituri, destinati al martirio, a diventare prima o poi stelle senza cielo nel loro stesso fuoco d’artificio.
Il neopresidente Emiliano ha, come spesso gli capita, usato le parole giuste. Ha detto che è ora di dire basta a queste morti annunciate.
Ora non resta, presidente, che dare seguito coi fatti alle parole, dovesse voler dire sfidare l’inferno. E farlo finalmente esplodere.