Primo Levi
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«Nessun profeta ardisce più rivelarci il nostro domani, e questa, l’eclissi dei profeti, è una medicina amara ma necessaria. Il domani dobbiamo costruircelo noi, alla cieca, a tentoni».
La vita quotidiana senza profeti, grazie a Dio*
Buona parte del nostro disagio viene dunque, credo, dall’estrema inconoscibiltà dell’avvenire, che scoraggia ogni nostro progetto
a lungo termine. Tale non appariva la condizione umana anche solo venti anni fa. Non eravamo così disarmati, o meglio, lo eravamo ma non ce ne accorgevamo. Da sempre, vivevamo di modelli, di idoli dorati e lontani, ed abbiamo dimostrato una singolare versatilità (e capacità d’oblio) nel licenziare modelli vecchi ed assumerne nuovi, diversi o anche opposti: purché un modello ci fosse.
Già Plinio citava gli improbabili Iperborei, al di là dei nevosi e gelidi monti Ripei, che vivono longevi e felici in un paese di eterna primavera (benché la notte vi duri sei mesi), e si uccidono solo perché sono sazi di vivere. Abbiamo avuto l’Eden, il Catai, l’Eldorado; in tempo fascista abbiamo scelto a modello (anche qui, non senza ragione) le grandi democrazie; poi, a seconda del momento e delle nostre tendenze, l’Unione Sovietica, la Cina, Cuba, il Vietnam, la Svezia.
Erano di preferenza paesi lontani, perché un modello, per definizione, dev’essere perfetto; e poiché nessun paese reale è perfetto, conviene scegliersi modelli mal noti, remoti, che si possano impunemente idealizzare senza il timore di un conflitto con la realtà. Comunque, ci eravamo fabbricata una meta: la nostra bussola puntava in una direzione definita.
Parallelamente ai modelli, abbiamo seguito uomini che pure erano fatti come noi della creta di Adamo, ma li abbiamo idealizzati, ingigantiti, osannati come dei: potevano e sapevano tutto, avevano sempre ragione, avevano licenza di contraddirsi, di cancellare il loro passato. Adesso il delirio della delega pare finito, ad Ovest ed anche ad Est: non ci sono più le Isole Felici né i capi carismatici.
Siamo orfani, e viviamo il disagio degli orfani. Molti di noi, quasi tutti, avevano trovato comodo, economico, riporre la propria fede in una verità confezionata: era una scelta umana, ma errata, ed ora ne scontiamo il fallimento. Il nostro futuro non è scritto, non è certo: ci siamo svegliati da un lungo sonno, ed abbiamo visto che la condizione umana è incompatibile con la certezza.
Nessun profeta ardisce più rivelarci il nostro domani, e questa, l’eclissi dei profeti, è una medicina amara ma necessaria. Il domani dobbiamo costruircelo noi, alla cieca, a tentoni; costruirlo dalle radici, senza cedere alla tentazione di ricomporre i cocci degli idoli frantumati, e senza costruircene di nuovi.